I Racconti della Montagna
"Pizzo Camarda"
cronaca di una salita invernale
di Luca Luciani
L'idea di Cristiano era di salire sotto la vetta del Pizzo di Camarda dal versante sud est, discendere un canale sul versante nord per circa 300 mt, risalirne un altro sempre esposto a nord fino in vetta (2332 mt). Poi, lui e Vincenzo sarebbero discesi con gli sci, traversando la montagna per la piana delle Solagne fino al lago della Provvidenza, io da solo per la stessa via di salita, per tornare a prenderli poi in macchina.
L'appuntamento è alle 5:30. Partiamo con qualche minuto di ritardo. In
macchina si parla del percorso: il canale che dovremmo scendere ha una pendenza
di 40°, quello da scalare 50°, con tratti fino a 65°. Non avevo mai affrontato
una vetta del genere in inverno, tanto meno pareti nord. Tuttavia sono abbastanza
tranquillo; Vincenzo mi dice che anche per lui è quasi una cosa nuova.
Mentre ci avviciniamo al traforo del Gran Sasso, l'ambiente è grandioso;
osserviamo i versanti nord di tutta la catena tra il monte Camicia e il monte
Aquila, con l'imponente parete est del Corno Grande, tagliata obliquamente
dall'innevato canale Jannetta. Parlando, capisco che i miei due colleghi
sono compagni di
scialpinismo da molto tempo. Alle 7:00 siamo sul posto, la temperatura è mite e
il sole colora già il pendio. Mettiamo gli scarponi, Vincenzo e Cristiano
sistemano gli sci sugli zaini e partiamo.
Progettiamo come via di salita un ampio canalone innevato, ma ci rendiamo conto
che il sole ha già scaldato la neve, che cede sotto il nostro passo, quindi
cercando di evitarla zigzaghiamo tra erba e sassi, su terreno sempre più ripido.
Arranchiamo sudando per più di due ore, finché siamo costretti a lasciare l'erba
per tornare a calpestare la neve, che qui è più compatta e lavorata dal vento.
Dopo un lungo traverso a NE, siamo sulla cresta a circa 50 metri dalla vetta. Da
qui il panorama è magnifico, vediamo a sud la nostra Majella, immediatamente a
ovest il monte Ienca e il monte San Franco e all'orizzonte i gruppi del Sirente
e del Velino. A nord-ovest i laghi ghiacciati di Campotosto e della Provvidenza.
Più a nord i monti della Laga. A nord-est il monte Corvo e ad est il Pizzo
Intermesoli con la cresta delle Malecoste.
Ci guardiamo un po' intorno; dopo qualche minuto di riposo, piantiamo gli sci
nella neve e lasciamo parte del carico. Alla vista del tratto da scendere, le
emozioni non mancano, non mi sono mai mosso su un terreno innevato così ripido.
Indossiamo l'imbrago, i ramponi e il casco, tiriamo fuori le piccozze, ci
leghiamo e Cristiano si avvia per primo giù per il canale assolato. Segue
Vincenzo e a circa 5 metri da lui, parto anch'io faccia a monte.
All'inizio la cornice di neve è ripida. Non ho paura comunque, mi muovo con
cautela, un passo e un movimento con la piccozza, lentamente, per i primi 20
metri, poi mi giro faccia a valle. La neve non è ghiacciata in superficie, come
previsto, cede per alcuni centimetri prima dello strato duro sottostante e sotto
i ramponi si forma il classico zoccolo di neve, che rende pesante anche la
discesa. Di tanto in tanto scattiamo qualche foto; man mano che scendiamo il
versante sud di monte Corvo ci appare baciato dal sole in tutta la sua
grandezza.
Dopo circa 300 metri di discesa pieghiamo a destra e ci troviamo sotto il nuovo canale
da scalare, finalmente all'ombra. Qui ci fermiamo, mangiamo un arancia,
Cristiano sistema l'attrezzatura e mi affida il martello per recuperare i
chiodi. Poi involontariamente fa scivolare giù il suo casco poggiato sulla neve.
Senza esitazione decide di lasciarlo lì, troppo faticoso recuperarlo. Gli cedo
il mio, visto che lui andrà da primo.
Si avvia per il primo tiro di corda. Il canale è chiuso in basso da un salto
roccioso di circa 25 metri (III°) e la mancanza di ghiaccio rende abbastanza
insicura la salita con ramponi e piccozza. Lentamente inizia a salire e in una
ventina di minuti, riesce a fissare i primi 2 chiodi da roccia.
Salgo anch'io fino alla base del salto per fare delle foto, mentre Vincenzo
rimane 20 metri più in basso; intanto piovono sassolini e pezzetti di ghiaccio
che cerco di schivare senza successo.
Cristiano in bilico sui ramponi, intento a fissare un terzo chiodo, fa cadere il
martello da ghiaccio che si pianta nella neve a una decina di metri da me. Dopo
qualche minuto di agitazione e diverse imprecazioni, ritrova la calma, recupera
un pò di corda, me la manda giù e recupera così l'attrezzo.
In circa un'ora supera il salto e riesce a piazzare una
sosta; intanto io e Vincenzo restando fermi ci siamo raffreddati un bel pò.....ma
è ora di andare.
Il secondo raggiunge la base della roccia e inizia ad arrampicare; sale piano e
senza problemi, in qualche minuto sparisce dalla mia vista. Guardando in alto
capisco che sarà meglio lasciare una mano libera per usare gli appigli che la
roccia offre e allo stesso tempo recuperare i rinvii, così appendo una piccozza
all'imbrago. E' il mio turno.
Sento le dita gelarsi lentamente mentre afferro i primi appigli con la mano
destra e piccozzo invano sull'erba con la sinistra. Arrivo al primo chiodo, lo
tolgo con il martello, lo appendo all'imbrago e vado avanti. Prima di arrivare
al secondo rinvio, un rampone perde la sua presa e mi strappa i pantaloni,
rischiando di farmi cadere. Recupero il secondo rinvio e salgo ancora. Adesso
non sento più le dita della mano sinistra, ma non è il momento di mollare, così
raggiungo il terzo chiodo, lo tolgo con qualche difficoltà e passo oltre, fino a
sbucare col fiatone, al di sotto dei miei compagni. Cristiano sorridendo mi
dice: -"Bravo, benvenuto nell'alpinismo"-. Sarà difficile dimenticare
questa frase, detta in un momento di confusione e fatica, in un momento in
cui le mie condizioni mi hanno fatto comprendere appieno il significato di
questo termine.
Mi assicuro alla sosta anch'io; per prima cosa tolgo il guanto sinistro e con
l'alito caldo cerco di riscaldare le punte delle dita, ormai
completamente insensibili, poi guardo in basso. Fa una certa impressione, non
vedo più la parete su cui siamo saliti, c'è solo un salto che strapiomba per
alcuni metri, finche riappare la rampa innevata sottostante e sullo sfondo
l'ombra della montagna proiettata sulla conca ai nostri piedi.
Il primo riparte deciso sul ripido canale, ora di nuovo innevato. Io e Vincenzo
restiamo appesi alla sosta, lo aiuto a far scorrere la corda, fino a che la
seconda sosta è fissata: ancora un chiodo e un fittone da neve.
Vincenzo sale e quando arriva su, io smantello la sosta in basso. Recupero la
seconda piccozza dall'imbrago e lo seguo. Lo sforzo è notevole, mi fermo a
riprendere fiato un paio di volte prima di raggiungerli. Mi assicuro e il ciclo
si ripete. Nei tre tiri successivi le soste sono fatte su piccozze.
Ora io e Vincenzo saliamo insieme, mentre Cristiano si affanna a recuperare le
corde bagnate. Al quarto tiro di corda, mentre salgo, estraendo la piccozza
dalla neve me la picchio su un labbro, che inizia a sanguinare, ma complice la
sete e il freddo, in breve è tutto risolto.
Alla quinta sosta, l'orologio segna le 16:00. Guardando indietro nel vuoto,
vedo l'ombra della montagna che si è allungata traversando la piana, fin quasi a toccare
le pendici di monte Corvo, si scorge anche la cima del Corno Grande illuminata dal sole:
lo scorcio è davvero fantastico.
La stanchezza, il freddo e la fame cominciano a farsi sentire. Appeso alla sosta
mi muovo maldestramente, tolgo lo zaino, indosso un cappello e cambio i guanti
ormai fradici. Bevo l'ultimo sorso di tè e ne offro anche a Vincenzo, che in
quel momento fa fatica a far scorrere le corde. Comincio a pensare che è
ora di uscire da questo freddo canale!!!
Cristiano riparte per l'ultimo tiro difficile, molto ripido, con un tratto su
erba e roccia; dopo un po' non lo vediamo più e quando ci chiama saliamo di
nuovo, uno alla volta.
Arrivato in sosta vedo la fine del canale, un cornicione di neve affilato in
superficie dal vento, con sopra il sole e uno splendido cielo azzurro. Cristiano
ci fa notare che la sosta con le piccozze in quel punto non è delle migliori,
quindi dobbiamo stare attenti: dietro di noi l'abisso.
Il primo si dirige di nuovo convinto verso l'alto e quando la corda finisce,
trovandosi a pochi metri dall'uscita, decide di salire in libera, anche per
risparmiare il tempo di un'ulteriore sosta. Ci urla di seguirlo. Vincenzo
protesta, esitiamo un attimo, poi ci muoviamo.
Saliamo fianco a fianco e guardando in alto vediamo Cristiano illuminato dal
sole sulla cresta. Poco dopo Vincenzo esce ed io lo seguo con grande
soddisfazione.
Il sole mi acceca per qualche secondo, il panorama si apre a 360° tutt'intorno e
finalmente sono in piedi, "comodo", su un piano orizzontale!!!
Le emozioni si accavallano mentre Cristiano ritira le corde, dicendoci di
avviarci verso la vetta. Poco dopo, ci siamo tutti e tre. Seguono i rituali
sorrisi e strette di mano, il classico autoscatto e un esiguo spuntino.
Qualche ora prima mi ero accorto che mi mancava l'orologio, pensavo di averlo
perso. Guardando bene lo ritrovo nella manica della giacca e mi accorgo che sono
le 18:00!!
Vista l'ora i miei compagni decidono che la traversata è fuori discussione.
Così, dopo aver tolto ramponi e imbrago, facciamo i primi passi verso il basso e
recuperiamo il materiale lasciato al mattino per avviarci a valle. Il sole
scendeva a ovest, tingendo la vetta di rosa e dando a tutto un colore
spettacolare.
Cristiano ci mette fretta, calza gli sci e si avvia, Vincenzo lo segue e io mi
avvio a piedi, pensando che la discesa, da solo, sarebbe stata lunga da fare .
Mentre godevo dei favolosi colori del tramonto noto che i
due hanno qualche problema a sciare, li raggiungo e addirittura li supero! Così,
dopo poche curve e molte cadute, a causa della neve crostosa e dei pesanti
zaini, i miei compagni di cordata rinunciano e decidono di caricare gli sci in
spalla e scendere a piedi.
Tutti e tre a grandi passi giù per il canalone, fino a raggiungere la base della
montagna dove la neve finisce.
Nell'ultimo tratto le luci di Assergi brillano ad est e la luna ci fa' strada
illuminandoci fino alla macchina, dove arriviamo esausti alle 19:30. In macchina
si parla della giornata trascorsa, di motori e di altre esperienze. Alle 21:00
circa siamo a casa.
Sono distrutto ma soddisfatto, contento della nostra scorribanda sul Pizzo di
Camarda.
20/03/2005
Luca Luciani
(wowiezowie@katamail.com)