Monte Morrone
ASPETTI GEOMORFOLOGICI
Inquadramento
Con un preciso allineamento NO-SE la dorsale del Morrone si sviluppa compatta per circa venti chilometri, dal vallone di S.Rocco presso Pacentro, dove scorre il fiume Vella, alle Gole Intramonti presso Bussi Officine dove scorre il fiume Pescara.
Orograficamente la catena costituisce lo spartiacque tra la Valle Peligna e la Valle dell’Orta, la quale con il Guado di San Leonardo segna una precisa linea di demarcazione con il più imponente massiccio della Majella.
Sebbene di origine tettonica ben definita, il Morrone è legato geologicamente al gruppo del Gran Sasso, con cui ne condivide la costituzione litica (calcari compatti a grandi strati sovrapposti del Mesozoico) e la traslazione verso est in epoche più recenti (Cenozoico).
Tra le caratteristiche geomorfologiche della montagna si rileva la quasi totale assenza in superficie di quegli effetti dell’attività carsica, dalle forme invece così evidenti sulle altre montagne abruzzesi. Allo stesso modo sono risibili in questi luoghi le tracce lasciate dal fenomeno erosivo di origine glaciale che, anche tenendo conto delle modeste altitudini massime (2061 metri la vetta), non è comparabile a quelle riscontrabili su altri massicci abruzzesi, sulla vicina Majella per esempio. Viceversa, grandi ed incise linee di impluvio, frutto di un’azione combinata tra erosione di origine meccanica e chimica, segnano entrambi i versanti, dando origine a consistenti accumuli detritici presenti alla base della montagna, dove molte conoidi sono ancora oggi attive.
La Valle Peligna originatasi in seguito a grandi fenomeni di subsidenza nel tardo Pleistocene, è stata sede di un grande bacino lacustre che attraverso le Gole di San Venanzio formava con la Conca aquilana un unico enorme “mare” interno.
L’altimetria del territorio varia dai 250 metri s.l.m. all’estremità nord occidentale della valle, ai 2061 metri che segnano la vetta massima della montagna.
Il clima è in linea di massima di tipo collinare, ad eccezione del centro della vallata che si può ascrivere al tipo “submediterraneo”. Le escursioni termiche sono relativamente elevate e di conseguenza la piovosità piuttosto bassa (600-800 mm annui). Tutto il territorio risulta poi abbastanza ventilato, a NO attraverso le Gole di Popoli e a SE attraverso il Guado San Leonardo.
Una sinergia di condizioni climatiche e morfologiche quindi, insieme alla presenza di alcuni corsi d’acqua (Gizio, Vella, Sagittario e Aterno), costituiscono le premesse per importanti caratteristiche ambientali e naturalistiche.
Anche se geologicamente la dorsale del Morrone rappresenta la naturale prosecuzione della catena del Gran Sasso (recenti studi ribaltano questa teoria assegnando al Morrone una unità tettonica a se stante), è alla Majella invece che è legata per morfologia del territorio e ambienti naturali; elementi essenziali questi per capire l’importanza che la montagna tuttora riveste come collegamento tra gli ecosistemi dei due parchi nazionali: Gran Sasso-Laga e Majella-Morrone.
L’elevata biodiversità che caratterizza gli orizzonti vegetali non solo sul versante sud della montagna, ma dell’intera valle, si esplica attraverso fasce vegetazionali che vanno dalle formazioni di macchia mediterranea ai boschi di faggio, dai prati aridi all’ambiente rupestre. Particolarmente interessanti sono inoltre gli ambienti acquatici di fondo valle, sorgenti e fiumi, miracolosamente sopravvissuti all’antropizzazione del territorio, oltre alla cosiddetta fascia pedemontana, importantissima cerniera tra la valle e la montagna. Essa, particolarmente ricca di essenze vegetali di tipo arboreo e arbustivo, distingue in modo particolare alcuni aspetti naturalistici del versante sud ovest.
Notevole importanza rivestono le formazioni a bosco misto, mentre a quote più alte il faggio acquista una presenza quasi monospecifica, non permettendo lo sviluppo di altre specie arboree. Oltre i 1600-1700 metri la faggeta lascia il posto alle praterie e ai pascoli d’alta quota, ma anche a quote più basse, in assenza di bosco, si hanno grandi spazi aperti in prati aridi e garighe. Quest’ultimo ambiente, insediato su un substrato di tipo calcareo, ha origine da estensioni di vecchi disboscamenti operati dall’uomo in epoche passate. Le essenze arbustive, quasi sempre spinose e di tipo odoroso, contrariamente a quanto si pensi, sono qui numerosissime.
In molte località nel corso degli ultimi decenni, sono stati realizzati rimboschimenti di conifere, quasi sempre a Pino d’Aleppo e a quote più alte a Pino nero. In alcuni casi si assiste qui a una rarefazione del sottobosco tipico delle pinete, in altri casi si inseriscono specie arbustive tra le più varie. Nell’ambiente rupestre si è di fronte ad una vera e propria esplosione di varietà vegetali, spesso poco appariscenti, ma a volte veri e propri endemismi.
Nei diversi ambienti, dal sottobosco ai pascoli montani, le specie floristiche che popolano il Morrone sono numerose, molte delle quali comuni a tutti i monti della Majella che, ricordiamo, da sola possiede più di un quinto delle 5600 specie classificate in Italia.
A livello faunistico per ritrovare la stessa varietà e profusione delle specie botaniche, bisogna volgere lo sguardo al microcosmo animale, cioè agli insetti, che dalle ricerche effettuate recentemente (1997) risultano in numero veramente elevato per un’area in fondo piuttosto limitata; il fenomeno se non eccezionale, è comunque peculiare per l’Appennino.
Insieme agli insetti è l’avifauna che detiene il record di colonizzazioni dei vari ambienti montani, con specie propriamente stanziali e numerose di passo. Va ricordato inoltre che nell’intero comprensorio della valle (Genzano, Rotella, Montagna Grande, Morrone, sorgenti del Pescara) è presente almeno l’85% dell’avifauna abruzzese, in quanto il territorio compreso tra la Val Pescara e la Valle dell’Aterno coincide con una importante rotta di migrazione interna che segue le grandi vie d’acqua.
Per quanto riguarda i mammiferi infine, il Morrone, la Valle Peligna e la Valle dell’Orta assumono un’importanza tutta particolare per la posizione di ponte (corridoi faunistici) che occupano tra i territori del Gran Sasso, Maiella occidentale e versante subequano del Sirente.
Orografia.
Compreso tra due ampi solchi vallivi, Valle dell’Orta e Valle Peligna, il Morrone è una catena montuosa ben distinta tra la linea più esterna che l’Appennino Centrale affaccia sul versante adriatico.
Con una altezza massima di circa 2000 metri la dorsale si sviluppa con un allineamento da NO a SE, per circa 20 chilometri, dalle Gole di Popoli al Vallone di San Rocco. Orograficamente la montagna si presenta nella sua parte meridionale larga e schiacciata, come il carapace di una testuggine, mentre verso nord va man mano rastremandosi, fino a presentare in prossimità di Monte Rotondo una vera e propria cresta affilata che poi si annulla ripidamente nelle gole dove scorre il fiume Pescara.
Entrambi i versanti est e ovest presentano notevoli incisioni create dalle acque superficiali, alla base delle quali si sono accumulate estese conoidi di materiale detritico.
Le fasce pedemontane costituiscono paesaggisticamente una sicura valenza nel territorio, anche se diversi settori di esse risultano alquanto degradatati a causa della forte pressione delle attività antropiche e da una morfologia geologicamente sempre attiva per la presenza in loco di ben individuate faglie che dividono le zone calcaree della montagna dalle deposizioni più recenti presenti a valle.
Le elevazioni principali della montagna sono: M.Morrone (2061 mt), M.Mileto (1920 mt), M.Le Mucchia (1986), Morrone di Pacentro (1800 mt) e M.Rotondo (1731 mt).
Cenni sul clima
Come per la Majella, anche per quanto riguarda il Morrone sia le temperature che le precipitazioni vengono fortemente influenzate dalla morfologia della zona, anche se il Morrone, proprio perchè dislocato geograficamente in maniera più arretrata rispetto alla Majella e meno imponente altitudinalmente, può godere di una situazione più mite dal punto di vista del clima.
Le valli dell’Orta e Peligna, entrambe circondate da rilievi considerevoli, possono dirsi al riparo dalle correnti che provengono dall’Adriatico, anche se tra di esse si assiste ad un differenziamento per il clima a carattere locale, che nella valle Peligna assume aspetti di vero e proprio microclima, per lo più di tipo collinare con una estesa sacca mesomediterranea al centro della valle, con temperature medie annue comprese tra 12° e 14°, escursioni termiche relativamente elevate, bassa piovosità (600-800 mm annui) e una notevole ventosità in primavera e in estate.
Nella valle dell’Orta in inverno dominano i venti freddi provenienti dai Balcani, mentre in estate prevalgono quelli dai quadranti meridionali. Data l’altitudine, spesso le precipitazioni assumono carattere nevoso e sono frequenti le grandinate estive.
I dati disponibili riguardanti le temperature, la piovosità e le precipitazioni nevose, sono state raccolte nelle stazioni meteorologiche di Sulmona (420 mt s.l.m.) e Pacentro (650 mt s.l.m.) sul versante occidentale; S.Eufemia (810 mt s.l.m.), Caramanico (600 mt s.l.m.) e Salle (450 mt s.l.m.) su quello orientale:
stazioni |
giorni piovosi in un anno |
quantita di pioggia in un anno in mm |
permanenza del manto nevoso in giorni/anno |
temperature medie annue (diurne) |
SULMONA |
85 |
618 |
12 |
13,8 |
PACENTRO |
87 |
786 |
25 |
_ |
S.EUFEMIA |
114 |
1452 |
54 |
10,7 |
CARAMANICO |
104 |
1267 |
32 |
13,6 |
SALLE |
101 |
1208 |
17 |
_ |
Le unità geologiche.
La conca di Sulmona è una piana di origine tettonica come altre grandi depressioni della catena appenninica (Fucino, conca dell’Aquila), colmata da sedimenti lacustri e fluviali nel Pleistocene e da sedimenti di conoide provenienti dalle grandi frane di versante che successivamente hanno interessato vaste zone della montagna (Nusca).
Il Morrone nei pressi di Pacentro deve principalmente la sua morfologia alla giacitura a reggipoggio degli strati calcarei, inclinati perpendicolarmente al pendio. Alle quote più alte sono presenti una serie di doline e vallecole allungate, più che altro in corrispondenza delle più importanti linee strutturali.
Ancora più a nord un piccolo altopiano, in un ambiente dalla morfologia glaciale, risulta disseminato ugualmente di doline (La Piscina). Tracce glaciali si riscontrano poi nell’area compresa tra il Vallone, a ovest di M. Le Mucchia, e il Lago della Madonna. Sui fianchi dello stesso emergono forme di erosione di tipo calanchiva.
Sul versante orientale la montagna risulta suddivisa in due parti morfologicamente diverse: a nord è solcata da grandi impluvi e canaloni ai cui piedi giacciono grandi conoidi detritiche, mentre più a sud il pendio è più dolce e coperto di vegetazione; la giacitura degli strati è qui a franapoggio.
La Valle di Caramanico (valle dell’Orta) è caratterizzata come tutte le fosse di origine tettonica da accumuli di minuti sedimenti provenienti da acque più profonde delle vaste porzioni di mare che ricoprivano la regione nel Mesozoico. Il Passo di San Leonardo costituisce lo spartiacque tra la Valle dell’Orta e la valle del Vella, i due fiumi che interessano questo territorio di cui, il primo scorre verso nord e dopo l’abitato di S.Eufemia riceve consistenti apporti da numerosi affluenti (Molino, Salsa, Orfento); il Vella che nasce dalle pendici della Majella, scorre dapprima verso ovest e poi, attraverso il Vallone di San Rocco, si immette nella conca di Sulmona.
Idrogeologia
Sul fronte occidentale del Morrone si verificano apporti diffusi di acqua provenienti dalle zone in quota soggette a carsismo, attraverso la coltre detritica della fascia pedemontana. Da questa fascia le acque attraversano sotto la superficie la conca di Sulmona e vanno ad alimentare le falde acquifere e il fiume Sagittario. Con certezza si può affermare che l’area pedemontana del versante ovest è una zona di notevole transito di acqua e quindi sicuramente vulnerabile dal punto di vista idrogeologico.
Per quanto riguarda l’analisi idrogeologica dell’area sono fondamentali alcuni aspetti:
a) i sedimenti detritici del Quaternario che caratterizzano le pendici di entrambi i versanti della montagna, hanno la importantissima funzione di ricarica e serbatoio per i corsi d’acqua superficiali di entrambe le vallate. Gli alti valori di trasmissività di queste giaciture conferiscono una relativa continuità alla portata delle sorgenti presenti nella fascia pedemontana. Dove la copertura detritica non è presente le acque meteoriche non sono trattenute e vengono presto riversate per ruscellamento verso valle, nei torrenti e nei fiumi.
b) Nella piana di Sulmona l’alternarsi di depositi lacustri, fluviali e di conoide comporta l’esistenza nel sottosuolo di falde acquifere sospese e trattenute dalle argille basali.
c) Le formazioni calcaree del Morrone sono caratterizzate da un alto assorbimento per fessurazione e carsismo, quindi a loro volta rivestono un ruolo fondamentale di ricarica dell’acquifero sottostante la conca di Sulmona.
d) Dal punto di vista litologico la catena del Morrone è così costituita: 1) calcari compatti di piattaforma, dove lo scorrimento e l’assorbimento dell’acqua avviene attraverso le fessurazioni della roccia, presso i giunti di stratificazione o in concomitanza delle linee di faglia; 2) calcari a rudiste, di scarpata o di scogliera, a nord della catena, dove maggiori sono le manifestazioni carsiche di superficie (doline, inghiottitoi) e quindi maggiore è la permeabilità.
Inquadramento geologico
Le rocce che costituiscono il Morrone sono note come rocce carbonatiche, cioè rocce formate in gran parte da carbonato di calcio. Sono rocce formatesi in un ambiente marino ad una profondità tra 0 e 50 metri, in una situazione che oggi corrisponderebbe a quella di una laguna, compresa tra le terre emerse e le profondità oceaniche.
Queste rocce hanno un’età compresa tra i 136 e i 65 milioni di anni e appartenenti quindi ad un periodo geologico definito Cretaceo. Sporadici sono gli affioramenti di rocce più antiche, risalenti al Giurassico. Una serie di condizioni ambientali, tra cui il clima, hanno consentito la loro formazione, consistente nella precipitazione chimica del carbonato di calcio che ha inglobato contemporaneamente i resti di numerosi organismi viventi di tipo animale o vegetale. Infatti queste rocce sono ricche di fossili: gusci, impronte e scheletri di organismi.
A partire da 16 milioni di anni fa queste rocce sono state interessate da spostamenti e sollevamenti, conosciuti come “eventi tettonici”. Ma dopo la formazione delle catene montuose, sono seguite fasi di smembramento (compressioni e distensioni), che hanno portato alla separazione e allo scorrimento delle diverse masse rocciose (piattaforme). Questi movimenti hanno originato oltremodo delle fratture oggi indicate con il nome di “faglie”.
Processi di versante
Coni di detrito sono diffusi su entrambi i versanti della montagna, sotto le grandi linee di impluvio o i marcati canaloni (rave), nei settori tra il Colle delle Vacche e il Vellaneto e il Morrone di Caramanico a nord est.
Fenomeni di tipo calanchivo (solo come struttura) sono presenti specialmente sul versante di Caramanico: nel Fosso Vetrina, nella parte alta del Fosso Cupo, sul Colle Carroccie sopra Salle Vecchio, nei dintorni di Passo San Leonardo e a ovest di M.Le Mucchia.
Frane attive sono segnalate sopra l’abitato di Salle Vecchio, in più località; sul versante occidentale recente è una frana che ha interessato il canalone dell’Occhio Bianco.
Forme strutturali
Scarpate create dalle linee di faglia sono diffuse un po’ ovunque in tutte le zone calcaree della montagna, anche di altezza superiore ai 25 metri e specialmente sul versante peligno, lungo la faglia visibile anche da lontano, che taglia intorno ai 1700 metri tutto il versante sud ovest.
In corrispondenza di queste scarpate vi sono aree più o meno vaste soggette a erosione. Altre scarpate, come quelle esistenti sul versante orientale di M.Le Mucchia, sono di natura prettamente litologica, dovute alla stratificazione propria delle strutture rocciose o al distacco di parti nelle zone organizzate a franapoggio.
Si riscontrano anche affioramenti rocciosi propri della struttura, nota con il nome di “specchi di faglia”, dove il piano di scorrimento tra due strati viene messo a nudo: sui lati del Vallone, nella Valle dei Monaci e in località S.Onofrio.
Due aree a forte erosione si caratterizzano per la particolare stratificazione a reggipoggio molto inclinato: le Balze di Pacentro e il settore nord del versante orientale, nei pressi della Rava del Ferro.
Emergenze geologiche
a) in località Lagonero sotto la Rava della Neve un cono detritico di grandi dimensioni, formante un gradino sul pendio a causa dello scivolamento delle argille sottostanti, ha formato un vasto terrazzo panoramico sulla valle;
b) a nord della vetta si rinviene un campo di doline, rara morfologia in questa zona;
c) a monte del Fosso Cupo l’intaglio nel pendio creato dal canalone, mette in luce la successione stratigrafica della valle di Caramanico, costituita principalmente da argille, calcari evaporitici, gessi e conglomerati;
d) presso il Lago della Madonna si ha l’unico modellamento di origine glaciale della zona, compresi i resti di un laghetto di origine morenica;
e) sempre nei pressi del Lago della Madonna si formano una serie di piccoli nevai persistenti, con forte pendenza;
f) versante est di M.Le Mucchia: netta discordanza di inclinazione del pendio tra gli strati di calcare e il sovrastante manto di brecce che in origine dovevano appartenere ad una zona di transizione tra laguna e scarpata continentale;
g) nella parte alta del Vallone ciò che rimane di un circo glaciale è sostituito oggi da una serie di nevai affiancati;
h) l’erosione di tipo calanchiva sotto M.Le Mucchia è direttamente collegata all’importante linea di faglia che qui ha un suo punto di transito;
i) la Valle dei Monaci è una depressione di origine tettonica che segue l’andamento di un’altra faglia;
j) la linea di faglia passante per la Piscina ha creato un allineamento di doline, proprio in prossimità di una zona con affioramenti di calcari a Rudiste e Gasteropodi, tra i più antichi della montagna;
k) serie di doline a nord di Monte Mileto, di dimensioni particolarmente grandi;
l) nella parte alta di un marcato impluvio, in località Vellaneto, l’erosione dovuta allo scorrimento delle acque ha meso a nudo un grande “specchio di faglia”;
m) in Val di Dentro, in corrispondenza di una piccola piana vengono drenate le acque superficiali della zona, che poi filtrano nel sottosuolo attraverso la linea di faglia qui passante;
n) sotto le Balze del Morrone si rinvengono strati di calcare “oolitico”, tipici della “facies di soglia”: paleoambiente lagunare di acque basse;
o) in località Pian dell’Orso sono visibili alcune pieghe e fratture, dovute all’attività tettonica compressiva che ha dato origine alla montagna.
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Osservazioni di geologia e geomorfologia
sui massicci montuosi del Velino e del Sirente.
(seconda parte)
I principali rilievi montuosi del Parco, sono costituiti da rocce calcaree, con sporadici affioramenti basali di dolomie (analisi di E.Beneo, 1943).
Nella parete NE del Sirente sono stati riscontrati strati litici risalenti al medio Giurassico (160 milioni di anni fa), ma la gran parte dei tipoliti sono costituiti da rocce sedimentarie di tipo marino risalenti al Cretaceo inferiore (65 milioni di anni da oggi). Si tratta di calcari organogeni, spesso compatti e ricchi di fossili (molluschi, coralli, alghe), originari di un mare basso a clima tropicale (simile alle attuali Bahamas). Stessa natura geologica si riscontra nel massiccio del Velino, rilevabile nelle grandi muraglie messe a nudo in prossimità di linee di frattura, come sulla Serra di Celano, sul Costone, sul Murolungo.
Il periodo Quaternario è ben rappresentato in zona da alcune manifestazioni: a) sedimenti di origine lacustre, b) coni di deiezione, c) glacialismo.
Sedimenti
lacustri
Nel Pleistocene la conca dell’Aquila era occupata da un grande lago che si estendeva fino alla Valle Subequana originatosi dallo scioglimento delle masse glaciali che coprivano i rilievi oltre i 1.500 mt, oltre che dalle abbondantissime piogge del periodo post-glaciazione.
Il lago defluito verso est in seguito alla frattura delle Gole di S.Venanzio e quelle di Popoli, ha lasciato in sito tracce sotto forma di sedimentazioni e fossili. Sono limi calcarei bianchi, sabbie, argille e conglomerati, spesso contenenti fossili (foglie e gasteropodi).
Coni di
deiezione
Ammassi di pietre e ghiaie (clasti) nelle diverse pezzature, effetto dell’erosione superficiale caratterizzata dalla frammentazione delle strutture rocciose dovute all’alternarsi del gelo e disgelo, sono presenti ovunque sulle montagne del parco; in grandi dimensioni ed evidentissimi, sul Velino e sul Sirente, in particolar modo sui versanti settentrionali e a quote elevate (oltre 1.500 mt).
Glacialismo
Manifestazione evidentissima sul versante NE del Sirente, dove 5 nicchie di discrete dimensioni si aprono sul fronte della montagna: canaloni di Monte Canale, San Vincenzo, Neviera, Valle Lupara, Majore, insieme a colate di più modeste dimensioni (canali Gemelli). Da queste discendevano altrettanti piccoli e veloci ghiacciai, tenendo conto dell’attuale ripidezza dei pendii.
Intorno a quota 1500 metri, si riscontrano ancora oggi i resti di morene frontali, ma le lingue di ablazione dovevano spingersi al di sotto di questa quota; infatti nel fitto della faggeta spesso si riscontrano i cosiddetti massi erratici. La cresta culminale della montagna mostra la classica linea a mezzaluna delle antiche sedi glaciali, soprattutto in corrispondenza degli attuali grandi canaloni.
Sul versante NE del Velino si aprono 3 circhi glaciali tra i più ampi dell’Appennino, i cui ghiacci a valle confluivano nella profonda Valle dei Briganti e successivamente defluivano lungo il Vallone di Teve. Un altro circo è ancora evidente sotto la quota 2271 di Vena Stellante, sotto la cresta che unisce Cimata di Pezza al Colle dell’Orso e quindi a Punta Trento; i ghiacci confluivano nella Valle Cerchiata fino ai Piani di Pezza. Tra il Bicchero e Punta Trento un’altro ghiacciaio scendeva lungo il Vallone del Bicchero e Valle Majelama: doveva risultare tra i più lunghi dell’Appennino Centrale. Alcuni circhi di più incerta lettura dovevano trovarsi su entrambi i versanti del crinale che unisce i Monti della Magnola al Costone della Cerasa; in questa zona il vallone della Genzana risulta in Appennino una delle più evidenti valli glaciali sospese.
Fenomeni
crionivali
Con questo termine si indicano una serie di fenomeni causati dal gelo (crio) e dalla neve (nives), ma anche dalle temperature rigide e dalle forti escursioni termiche. Le diverse tipologie morfologiche che ne derivano sono indicate erroneamente anche con il termine periglaciale.
Queste
manifestazioni sono tipiche delle alte quote, in genere oltre i 2000 metri e
sono comuni a tutti i grandi massicci dell’Appennino. I cuscinetti erbosi sono causati dal congelamento di acqua che scorre
immediatamente sotto il suolo. Questa aumentando di volume da origine a piccoli
rigonfiamenti puntiformi del suolo. I suoli
poligonali si formano allo stesso modo, ma nelle zone dove il suolo è
sassoso, per cui le ghiaie scivolando leggermente su di una convessità tendono
a formare dei mucchietti disposte in vaga forma di poligoni. I suoli
a gradoni sono originati dall’alternarsi del gelo e disgelo su un suolo in
pendenza, il quale nel secondo caso scivolerà lentamente verso il basso (in
genere meno di un metro) e successivamente si stabilizzerà di nuovo con il
ritorno delle basse temperature.
Il
clima
A causa dell’orografia complicata del territorio, all’interno del Parco si assiste ad una presenza marcata di microclimi che caratterizzano i diversi angoli, ma soprattutto i diversi versanti interessati dai massicci del Sirente e del Velino.
Sul Velino è possibile osservare su vasta scala quella caratteristica climatica che poi è riscontrabile anche per il massiccio del Sirente, per il quale la linea di demarcazione dal quale è separato è puramente convenzionale, esistendo geograficamente un continuum territoriale, attraverso il solco delle Gole di Celano, la Serra e i piani carsici delle Rocche.
Sul versante settentrionale del Velino si riscontra un clima di tipo temperato suboceanico; lo stesso con il quale si classifica tutta la catena appenninica, apportatore di umidità attraverso le correnti provenienti dall’Atlantico. Parallelamente una serie di microclimi caratterizzano le zone del massiccio esposte a sud e a ridosso della piana del Fucino. A questo proposito si ricorda come il prosciugamento del lago effettuato alla fine del 1800, abbia apportato in questa zona un ulteriore radicale cambiamento del clima, per cui questi versanti oggi sono sotto l’influsso di periodi più o meno lunghi di aridità estiva di tipo mediterraneo.
Rivestono poi particolare interesse i fenomeni climatici che caratterizzano il versante N-NE del Sirente e, per i dati disponibili in proposito, l’Alta Valle dell’Aterno e la Valle Subequana. La prima in special modo, risente ancora del clima mediterraneo, per mezzo di un influsso mitigatore delle correnti che spirano dall’Adriatico e che, attraverso le Gole di Popoli e di San Venanzio, portano un clima più temperato ai paesi che si allineano lungo la valle: Beffi, Tione, Fontecchio, Terranera, Campana. Oltre l’abitato di Stiffe, il territorio si chiude con un gradino che divide dalla piana aquilana. A sud ovest un’altra dorsale che culmina in M.Castello (1403 mt), impedisce alle correnti di penetrare sulla piana del Sirente e di raggiungere quindi l’Altopiano delle Rocche.
Nella valle Subequana solo Castelvecchio gode di una posizione ottimale, mentre Secinaro, alle pendici della montagna e soprattutto a ridosso della vasta estensione di boschi, risente già del clima montano. Il contrasto climatico viene messo in evidenza anche dagli studi vegetazionali effettuati sul territorio, i quali sottolineano appunto il graduale passaggio da essenze vegetali di tipo mediterraneo ad altre più specializzate a microclimi meno temperati.
Per ottenere comunque una visione esaustiva sul clima che caratterizza questo versante del Sirente, bisogna in ogni modo far ricorso ai dati meteorologici raccolti dalle stazioni operanti sul territorio ed annotate negli Annali Idrologici del Ministero LL.PP.. Di questi si è preferito utilizzare quelli rilevati a Goriano Sicoli e a Rocca di Mezzo, come monitoraggio di due situazioni per geografia e altitudine, praticamente divergenti: Goriano Sicoli, a 707 metri s.l.m., sorge praticamente ai margini del massiccio montuoso, poco discosto dal Passo di Forca Caruso che segna la fine della dorsale vera e propria è posto a SE della montagna ed orientato in vista della Conca Peligna; Rocca di Mezzo, a 1303 metri di altitudine, si pone decisamente nella fascia di territorio montano, tra ampi piani carsici e a ridosso della montagna, con orientamento a NO.
I dati sulla piovosità e le temperature che sono stati utilizzati per costruire i grafici allegati, non sono direttamente confrontabili tra loro, poiché le medie desunte dagli annali si riferiscono a intervalli temporali diversi; cioè ad annate comprese tra il 1960/’71 per quanto riguarda Goriano S. e 1951/’68 per Rocca di Mezzo. Anche se la fascia compresa tra il 1960 e il 1968 rende possibile una comparazione dei dati, le medie costruite su un periodo di 11 anni in un caso e 17 anni nell’altro, rendono inutile e fuorviante la lettura complessiva dei dati.
Quindi, tenendo conto delle eventuali variazioni intervenute nei fenomeni meteorologici a cavallo delle due decadi interessate, i dati serviranno essenzialmente a mettere in evidenza solo le caratteristiche di due situazioni di microclima presenti nel territorio sirentino
Un primo fattore ci sembra importante e viene dalla lettura dei dati sulle precipitazioni: queste sono decisamente scarse, se si tiene conto che in genere per zone a forte caratterizzazione montuosa viene indicata una media al di sopra dei 900 mm annui. Gli 821 mm di Goriano sono al di sotto di questa media, ma i 907 mm di Rocca di Mezzo, tenendo conto della consistente altitudine, risultano addirittura al di fuori degli standard riscontrabili su gli altri massicci abruzzesi.
Il versante teramano del Gran Sasso e quello nord orientale della Majella per esempio, con le precipitazioni in forma copiosa, costituiscono un buon termine di paragone, per affermare che l’aridità relativa presente sul Sirente, è dovuta principalmente alla posizione geografica che occupa e alla particolare orografia. Le correnti umide dell’Adriatico si scaricano preminentemente sui primi grandi baluardi montuosi che incontrano sul cammino, appunto Gran Sasso e Majella; quando essi raggiungono le zone interne della regione, la Valle dell’Aterno, la Valle Subequana, il Sirente, ma anche il Velino e la Marsica, la loro corsa è ormai esaurita e la consistenza delle precipitazioni scende sensibilmente al punto che, anche la fascia montana compresa oltre i 2000 metri, segna livelli (1250-1500 mm) di bassa piovosità su entrambi i massicci montuosi.
In maniera complementare, bisogna considerare che queste due località campione, sono fuori da quella fascia boscosa consistente, costituita dalla estesa faggeta adagiata sul versante NE della montagna, almeno per quanto riguarda Goriano, che certamente risente del clima secco del versante marsicano. La presenza di grandi macchie boschive, che trattengono nel terreno una grande quantità d’acqua, contribuiscono attraverso l’evaporazione a creare quella umidità necessaria per la formazione delle precipitazioni. Queste sono raggruppate principalmente nel periodo autunno-inverno, con una media di giorni piovosi (51 Goriano - 58 Rocca di M.) abbastanza esigua, in cui cadono mediamente meno di 100 mm di pioggia (91,2 Goriano - 99,2 Rocca di M.) al mese.
E’ così spiegata quell’aridità (relativa) di cui si parlava, e che nei mesi estivi, al massimo dello sviluppo vegetazionale, raggiunge punte inferiori ad alcune zone litoranee, almeno per quanto riguarda il territorio al di sotto dei 1000 metri; infatti tra giugno, luglio ed agosto, a Goriano si hanno 13 giorni di pioggia e a Rocca di Mezzo poco di più: 17. In questi mesi la quantità di pioggia è di 88,9 mm per Goriano e 115,8 mm per Rocca di Mezzo.
Si noti quindi come con l’aumentare dell’altitudine (diminuzione della temperatura) e con la presenza della fascia boschiva, gli indici di piovosità tendono ad alzarsi e a tornare a livelli di accettabilità, che dimostrano come la zona immediatamente a ridosso della montagna (dai 1100 mt in su), non risenta eccessivamente in estate di particolare siccità, a differenza delle basse altitudini, dove addirittura si rinvengono alcune essenze vegetali di climi aridi.
Ma l’esempio di Goriano, non è indicativo, perché essendo posto a cavallo di una dorsale che divide gli ampi spazi del Fucino dalla Conca Peligna (dove i venti tendono ad abbassare le temperature e di conseguenza a favorire le precipitazioni), è in un certo senso privilegiato rispetto ai paesi della Valle dell’Aterno, che viceversa sono più riparati dalle correnti marine. A questo proposito, nello stesso periodo di tempo monitorato, la piovosità di Beffi e Campana, due paesi dell’alta Valle dell’Aterno, risulta chiaramente inferiore.
Per quanto riguarda le temperature, in entrambe le zone campione, i mesi più caldi risultano luglio e agosto e il mese più freddo gennaio. Le medie tra minime e massime registrate a Goriano sono inferiori a quelle di Rocca di Mezzo di 5-6 gradi, cioè più o meno la differenza data dalla variazione di altitudine, che essendo di 595 metri, per convenzione (1° ogni 100 mt) dà una differenza di 6 gradi. L’andamento delle temperature a Rocca di Mezzo può definirsi senz’altro rigido. Guardando i dati si evidenziano diversi mesi con temperature medie intorno allo zero; tra le minime poi si hanno ben quattro mesi (dic.- gen. - feb. - mar.) al di sotto dello zero.
Con i dati sulla piovosità e le temperature, è possibile costruire un diagramma in grado di mettere in evidenza la cosiddetta aridità estiva. Questo diagramma è noto con il nome di termoudometrico. Vengono riportati su due ordinate contrapposte, i millimetri di pioggia e i gradi delle temperature di una località, in corrispondenza dei dodici mesi dell’anno, segnati sulla linea delle ascisse. In questo caso i valori sono costituiti dalle medie mensili nell’arco di tempo considerato. Nella costruzione delle scale dei valori, si avrà l’accortezza di raddoppiare quelli della piovosità, rispetto alla temperatura (P= 2T, Bagnouls e Gaussen-1953). In questo modo si osserverà in corrispondenza dei mesi estivi un campo di sovrapposizione più o meno grande, che scaturisce direttamente dalla consistenza delle precipitazioni registrate. L’assenza di queste ultime è sinonimo di un certo grado di aridità in estate.
Dal grafico si deduce in pratica, quanto sopra accennato e cioè che a Goriano Sicoli si è in presenza di un clima temperato di tipo mediterraneo, complessivamente mitigato dalle correnti marine, che però non riescono ad assicurare a quest’altitudine le precipitazioni usuali di una zona montana, con una conseguente aridità nei mesi più caldi.
A Rocca di Mezzo, se pur in presenza di valori di piovosità complessivamente inferiori -se rapportati ad altre massicci abruzzesi- agli standard che il tipo di territorio e l’altitudine richiedono, si ha un clima che rientra nella classe temperata (come quello mediterraneo) e precisamente nella sottoclasse di temperato fresco, tipico delle zone montane di media altitudine. Una caratteristica di queste zone è appunto l’assenza di aridità durante l’anno e, in questo caso, nei mesi estivi. Queste almeno sono le conclusioni a cui si giunge, tenendo conto delle teorie di vari autori (Koppen, Pinna, Tomaselli, Emberger), che facendo uso di formule e diagrammi vari, danno origine a classificazioni differenti per metodologia, ma simili nei risultati.
Per rendere più immediata la lettura dei dati degli Annali Idrologici, si sono costruiti altri grafici che disegnano le curve delle temperature e della piovosità, registrate nelle due località prese a campione. Per quanto riguarda le temperature, si può osservare l’andamento simile delle curve in entrambe le località; la differenza sostanziale si rileva solo nei valori raggiunti, che mettono in evidenza come per Rocca di Mezzo questi ultimi si intersecano più volte con la linea dello 0° termico. Nel diagramma della piovosità si assiste ad un fenomeno quasi identico, con la presenza di alcuni picchi consistenti nei mesi di ottobre, novembre e dicembre per quanto riguarda Rocca di Mezzo. In questo caso la differenza sostanziale è costituita dalla curva che interpreta il numero dei giorni di pioggia, che per Goriano sono in numero nettamente inferiore.
Per concludere si può ipotizzare che nelle due fasce altitudinali (500/1000 mt e 1000/1500 mt) del versante NE del Sirente si assiste alla presenza di due microclimi, in grado di influenzare in maniera consistente lo sviluppo vegetazionale e quindi l’intero ecosistema.
GRAFICI
Media della piovosità mensile ed annua e numero di giorni di pioggia rilevati a Goriano Sicoli e a Rocca di Mezzo. (Dati desunti dagli Annali Idrogeologici del Ministero dei LL. PP.)
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
piovosità (mm) | 78.7 | 84 | 76.6 | 72 | 53 | 33.3 | 27 | 28.6 | 59.6 | 85 | 107.4 | 115.8 | 821.2 |
giorni piovosi | 8 | 8 | 8 | 8 | 7 | 6 | 4 | 3 | 5 | 8 | 9 | 10 | 84 |
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
piovosità (mm) |
76.8 |
74.5 | 78.3 | 74.8 | 61.2 | 48.1 | 33 | 34.7 | 60.2 | 96.4 | 133.6 | 136 | 907.5 |
giorni piovosi | 9 | 8 | 9 | 11 | 9 | 7 | 5 | 5 | 6 | 9 | 12 | 11 | 101 |
Media delle temperature massime e minime rilevate a Goriano Sicoli e a Rocca di Mezzo (Dati desunti dagli Annali Idrogeologici del Ministero dei LL. PP.)
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
temp. max | 6.8 | 8.8 | 12.3 | 16.6 | 22.2 | 26.4 | 29.7 | 30.1 | 25.7 | 18.7 | 12.8 | 8.6 | 18.2 |
temp. min | -1 | 0.4 | 2.7 | 6.1 | 10.2 | 13 | 15.1 | 15.3 | 12.8 | 8.8 | 4.9 | 1.5 | 7.5 |
temp. media | 2.9 | 4.6 | 7.5 | 11.4 | 16.2 | 19.7 | 22.4 | 22.7 | 19.3 | 13.8 | 8.9 | 5 | 12.8 |
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
temp. max | 3.2 | 4.6 | 7.9 | 11.6 | 15.9 | 20 | 22.9 | 23 | 19.1 | 13.8 | 8.7 | 5.1 | 13 |
temp. min | -5.3 | -5 | -2.1 | 1.2 | 4.5 | 7.8 | 9.5 | 9.5 | 7.5 | 3.5 | 0.5 | -3.1 | 2.4 |
temp. media | -1 | 0.2 | 2.9 | 6.4 | 10.2 | 13.9 | 16.2 | 16.3 | 13.3 | 8.7 | 4.6 | 1 | 7.7 |
Diagramma termoudometrico - Raffronto tra quantità di precipitazioni (pioggia) e temperature relative a Goriano Sicoli e a Rocca di Mezzo (Dati desunti dagli Annali Idrogeologici del Ministero dei LL. PP.)
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
piovosità (mm) | 78.7 | 84 | 76.6 | 72 | 53 | 33.3 | 27 | 28.6 | 59.6 | 85 | 107.4 | 115.8 | 821.2 |
giorni piovosi | 2.9 | 4.6 | 7.5 | 11.4 | 16.2 | 19.7 | 22.4 | 22.7 | 19.3 | 13.8 | 8.9 | 5 | 12.8 |
gen | feb | mar | apr | mag | giu | lug | ago | set | ott | nov | dic | Annuo | |
piovosità (mm) | 76.8 | 74.5 | 78.3 | 74.8 | 61.2 | 48.1 | 33 | 34.7 | 60.2 | 96.4 | 133.6 | 136 | 907.5 |
giorni piovosi | -1 | 0.2 | 2.9 | 6.4 | 10.2 | 13.9 | 16.2 | 16.3 | 13.3 | 8.7 | 4.6 | 1 | 7.7 |
Alterazione
del suolo
Utilizzando sempre i dati riguardanti le precipitazioni e le temperature a livello locale è possibile costruire un diagramma (di Peltier) in grado di indicare, a livello generale, la probabile tipologia di alterazione del suolo. Il diagramma, che individua fasce diverse per le due tipologie più importanti alla base del fenomeno erosivo, quella meccanica e quella chimica, si basa su due scale di valori dove sono indicate le medie annuali della piovosità e della temperatura.
PROBABILI TIPOLOGIE DI EROSIONE
__ Rocca di Mezzo (1951/1968): media delle precipitazioni annuali 907.5 mm
media delle temperature annuali 7.7 ° C
__ Goriano Sicoli (1960/1971): media delle precipitazioni annuali 821.2 mm
media delle temperature annuali 12.8 ° C
LEGENDA
A: generale Alterazione
MEC: Meccanica
CH: Chimica
G: Gelo
F: Forte
M: Medio
L: Leggero
LL: Leggerissimo
E’ di immediata lettura l’impostazione del diagramma, che vede con la diminuzione della temperatura e con la presenza di precipitazioni medio-basse, il prevalere di fenomeni di alterazione meccanica di varia intensità: leggera, media e forte. Inversamente con il crescere delle temperature e del livello di precipitazioni si ha uno spostamento verso le fasce di alterazione di tipo chimico. In coincidenza a temperature vicine allo 0° il fenomeno di alterazione chimica si unisce a quello del gelo. Infine basse precipitazioni danno origine ad una vasta fascia di alterazione generalizzata, di tipo leggero e leggerissimo.
Utilizzando sempre i dati meteorologici delle stazioni di Rocca di Mezzo e Goriano Sicoli si può ribadire quanto già detto a proposito della geomorfologia e del clima. Alle quote interessate, 1300 mt. per Rocca di Mezzo e 700 mt. per Goriano Sicoli, si ha una netta prevalenza dei fenomeni di alterazione di tipo chimico, cioè l’erosione sistematica causata dalle acque dilavanti e dai composti chimici in essa contenuti (piogge acide) o disciolti nel terreno (sali minerali). Alla quota nettamente superiore di Rocca di Mezzo, a questo fenomeno si unisce quello del gelo, direttamente correlato alle basse temperature registrate nella località. D’altronde si sottolinea il diffuso fenomeno carsico, presente sul versante meridionale della montagna, tra i più importanti originati dall’alterazione chimica.
Per parlare di alterazione meccanica bisogna salire di quota, oltre i 1700 mt, dove si registrano quelle basse temperature che, insieme al permanere del manto nevoso, sono in grado di dar luogo a quel fenomeno di gelo e disgelo, tra i fattori più importanti di erosione.
A tal proposito si evidenzia come, al di sotto di questa quota, nella carta dell’Uso del Suolo riferita al territorio sirentino, ci sia assenza assoluta di aree in erosione (frane, smottamenti, degrado idrogeologico) e, dove presenti (Accio della Capra, Madonna del Carmine), esse sono probabilmente causa dall’intervento diretto dell’uomo (deforestazione).
nella I parte (è stato trattato):
Inquadramento generale;
Inquadramento geologico;
Geomorfologia;
Carsismo;
Idrogeologia.
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