L'Itinerario


PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO

 Dall’ Aia della Forca a Lago Vivo, per il Vallone dell’Inferno.

Ritorno per il versante orientale del Monte Serrone.

    • Sviluppo chilometrico: circa 11 km;

    • Dislivello: 534 mt;

    • Tempo di percorrenza totale: ore 4.00;

    • Difficoltà: escursionistiche;

    • Cartografia: IGM Fg 153 III SO (Alfedena), Carta dei Sentieri dell’Ente Parco N. d’A. (1:50.000);

    • Segnaletica: del Parco, arancione con segnavia “K5” e “K4”.

 

 


Itinerario di modesta difficoltà che percorre la Valle dell’Inferno, inciso vallone chiuso tra il Monte Iannazzone e il Serrone che, con la Valle del Rio Torto, Valle Iannanghera, Val di Rose e Val Fondillo, costituisce l’insieme dei solchi vallivi che affacciano sull’invaso artificiale di Barrea e penetrano nel lungo allineamento di creste ed elevazioni che dalla Camosciara porta fino alle Mainarde in territorio molisano.

            La conca di Lago Vivo, incorniciata dagli anfiteatri rocciosi del Monte Petroso e Monte Altare, alle peculiarità prettamente naturalistiche, affianca alcuni elementi di carattere ambientale, legati alla storia geologica della zona, che fanno del sito luogo di particolare interesse didattico.

            Accesso

Provenendo da Roma si raggiunge l’abitato di Barrea (AQ), percorrendo l’autostrada A24 fino ad uscire al casello di Pescina e proseguendo per la SS. 83 dopo aver superato il Passo del Diavolo nei pressi di Pescasseroli. Da Pescara, percorrendo l’A25, si può uscire al casello di Pratola-Sulmona, raggiungendo con la statale 17 l’abitato di Castel di Sangro e proseguendo poi per la SS.83.

            Descrizione

Fuori dell’abitato di Barrea, al chilometro 67 della strada statale 83, in prossimità di un tornante, una strada sterrata con fondo sconnesso si addentra tra i campi in direzione ovest.

            Parcheggiata l’auto vicino ad un’opera di presa dell’acquedotto, si continua a piedi per la sterrata che, per i solchi incisi sul fondo ciottoloso, appare evidente essere il tragitto ancora oggi usato dai mezzi meccanici per il trasporto e il taglio della legna, anche se quest’attività sui monti del Parco continua ad essere parzialmente effettuata con l’apporto dei muli.

Dopo aver superato qualche pascolo arido e vecchi coltivi, la stradina penetra nel bosco, ricco di varie essenze arboree e arbustive quali: l’Acero opalo, l’Acero di monte, la Roverella, la Farnia, il Cerro, il Corniolo, la Sanguinella, il Biancospino, il Rovo, raggiungendo dopo circa un chilometro la Sorgente delle Donne.

Qui un sentierino si diparte in direzione nord, entrando nel Vallone dell’Inferno, in alcuni tratti stretto ed ombroso. Il bosco si fa via via più fitto, con il faggio che diventa presenza dominante insieme ad esemplari di acero, da cui pendono in lunghi festoni le liane della Vitalba.

            Il tracciato con segnavia K5, segue per lo più il fondo del vallone, coincidendo in buona parte con il letto asciutto di un vecchio torrente ormai in secca. Più avanti il bosco si fa maestoso, con esemplari di faggio di dimensioni ragguardevoli, anche se, la disposizione rada di questi ultimi e il sottobosco molto pulito, denotano l’antico sfruttamento della zona destinata a fustaia.

            Si rinviene qui la presenza del raro Acero Lobelii, dalla bella foglia a 5 lobi terminanti a punta, endemismo dell’Appennino centromeridionale, presente in Abruzzo solo in alcune località della Majella.

            Salendo ora sulla sinistra orografica del vallone, si aprono nel bosco alcune piccole radure, dove da alcuni poggi erbosi è possibile scorgere le propaggini occidentali del Serrone. Qui, su alcune balze rocciose precipiti nel vallone, non è raro scorgere il cervo o il camoscio.

            Il sentiero, in alcuni tratti vera e propria mulattiera, costeggia ora alcune bancate rocciose dalla strana conformazione, che interrompono lo spesso manto di foglie tipico della faggeta: sono le prime avvisaglie di quelle estese formazioni calcaree che più avanti, nella conca del lago, costituiscono ampia testimonianza degli effetti del carsismo in zona.

            Con alcune ripide svolte, in località Madonna delle Grazie, il sentiero supera un piccolo passo che si apre su un largo pianoro, chiuso ad ovest dalle formazioni rocciose del Petroso (2249 mt) e Monte Altare (2174 mt).

All’estremità occidentale il pianoro è punteggiato da alcune pozze di acqua salmastra, resti di un più consistente specchio lacustre che solo alla fine dell’inverno, con lo sciogliersi delle nevi, torna ad occupare la sua antica sede. Due piccole polle sorgive riparate da semplici basole in pietra, assicurano per il resto dell’anno l’acqua alle mandrie di bovini ed equini che, insieme agli animali selvatici, hanno qui il loro punto di raccolta.

            Tra il fango e piccoli anfratti pietrosi, sopravvivono alcuni microrganismi (crostacei), abitanti tipici delle acque salmastre. La particolare composizione chimica del terreno circostante, a causa dello sfruttamento a pascolo, favorisce una vegetazione caratterizzata da piante nitrofile infestanti e arbusti spinosi come l’ortica, il verbasco e i cardi.

            Oltre alla Valle dell’Inferno, la conca presenta altre due sbocchi naturali: a ovest, sotto Monte Iamiccio si entra nella solitaria Valle Cupella; a sud un valloncello affaccia nella profonda Val Porcile, dove si origina il Torrente Rio torto che a valle riempie l’invaso artificiale della Montagna Spaccata.

            La conformazione della zona, a valle dei grandi circhi glaciali che caratterizzano tutta la costiera Petroso-M.Altare-M.Tartaro-Meta-Metuccia, e alcuni elementi ancora presenti nel paesaggio, denotano un origine glaciale della conca, successivamente rimodernata da un intenso fenomeno di carsismo.

            Effettivamente il gradino che chiude la conca a oriente non è altro che un accumulo detritico dovuto alla morena frontale di un ghiacciaio, che qui scendeva dai circhi glaciali a monte. La presenza all’ingresso della valletta di numerosi grossi blocchi di calcare, conferma ulteriormente questa osservazione, trattandosi essi di tipici massi erratici depositati dalle lingue glaciali, dove la mancanza ai lati della valle di strutture rocciose sovrastanti, esclude possa trattarsi di materiale espulso in seguito a crolli o frane.

            Subito a sud della quota 1626, una considerevole formazione a “karren” marca il terreno all’intorno, costituito dai resti di una grande bancata rocciosa oggi ridotta ad una estensione di piccoli pinnacoli rocciosi, originati da profonde incisioni (verticali e orizzontali). L’impressione è quella di un labirinto di solchi e fessure.

            Più a sud, sul limitare del bosco, la estrema sottigliezza del suolo lascia scoperte alcune larghe superfici a placca di roccia calcarea: effetto questo del dilavamento delle acque piovane e del degrado del terreno a causa del pascolo. Nelle vicinanze alcune paretine rocciose mostrano i diversi stadi di degrado di una formazione calcarea in seguito a erosione chimica, con grossi blocchi scavati e isolati tra loro, via via fino all’approfondimento della fratturazione e alla riduzione della roccia in piccoli blocchetti.

            Discesa

 Dalla conca del lago il ritorno a valle si svolge lungo il sentiero contrassegnato dal segnavia K4, che aggira le pendici boscose del Serrone, prima a sud e poi a est, tornando al punto di partenza in località Aia della Forca.

            Risalendo brevemente un valloncello l’itinerario continua a mezzacosta in un bel bosco punteggiato da grandi faggi dai rami ricoperti di colonie di licheni. Nonostante l’apparente buona conservazione del bosco, numerose specie di funghi presenti sui tronchi, denotano gli esemplari di alberi prossimi ad una fase di crisi vegetativa.

            Una breve deviazione su tracce di sentiero, in leggera discesa, porta in breve ad un terrazzo erboso che affaccia sulla selvaggia Val Porcile, dove scorre il torrente Rio Torto. Il panorama spazia sul gruppo delle Mainarde e sul Matese.

            Tornati sulla traccia principale il percorso si snoda ancora nel bosco ombroso, dove si incontra nuovamente una formazione rocciosa abbastanza estesa modellata dall’erosione carsica. E` questa una caratteristica se non unica, certamente singolare, dove altrove simili formazioni si incontrano essenzialmente negli spazi aperti.

            L’itinerario continua perdendo quota lentamente, fino a quando il bosco si trasforma in macchia rada, dove il faggio lascia posto ad essenze arboree di tipo xerofito, adattate a luoghi più soleggiati e aridi. Tra ginepri, roverelle, prugnoli e rosa canina, si scende in località Le Cese, ad un ampio prato che offre uno scorcio suggestivo sulla media valle del Sangro e sul Lago della Montagna Spaccata.

            Ora il sentiero si trasforma in una scomoda sterrata ingombra di ciottoli, che scende ripida tra pascoli e coltivi fino a perdersi in orrendi sbancamenti e terreni sconvolti da recenti lavori. Si perviene sulla SS. 83, a poche centinaia di metri dal luogo di partenza.

             Osservazioni sul carsismo

Gli effetti del fenomeno carsico sono abbastanza evidenti nel territorio del Parco d’Abruzzo, a causa della natura litologica del luogo, costituita in prevalenza da calcari e in misura minore da dolomie; sedimentazioni avvenute in un arco di tempo che va dal Triassico al Miocene medio.

            La roccia calcarea che a volte si presenta così compatta e dura, è viceversa facilmente attaccabile dagli agenti biochimici e quindi permeabile. L’acqua da sola non riuscirebbe a dissolvere la roccia, è indispensabile la presenza di anidride carbonica presente nell’atmosfera; solo così riesce a rendere solubile il carbonato di calcio che costituisce le rocce. Quest’ultimo si trasforma quindi in un diverso sale minerale: il bicarbonato di calcio, che a sua volta solidificandosi da origine alle concrezioni calcaree che formano tutte le strutture presenti nelle cavità sotterranee (stalattiti, stalagmiti e cristallizzazioni varie).

CaCO³+H²O+CO² >Ca(HCO³)²

Parallelamente è l’azione meccanica dell’acqua, l’erosione, che domina le trasformazioni morfologiche del territorio, sotto e sopra la superficie terrestre.

            Questo processo chimico può verificarsi solo in condizioni di temperatura ottimali e queste si identificano solo con un clima di tipo temperato-caldo; infatti il modellamento carsico del paesaggio è avvenuto solo dopo le grandi glaciazioni del Quaternario. Il processo di modellamento inizia in superficie (epigeo), creando una serie di forme come quelle osservate nell’itinerario descritto: campi solcati, blocchetti calcarei, fratturazioni, pinnacoli, buchi e prosegue in profondità (ipogeo) con inghiottitoi, pozzi, sifoni, gallerie, grotte.

            Una caratteristica superficiale del carsismo è costituito da ampi spazi ove blocchetti calcarei di varia pezzatura emergono letteralmente da un suolo costituito da terra rossastra piuttosto scura, che rappresenta lo stadio finale del deterioramento del calcare.

In uno stato meno avanzato di erosione chimica saranno invece evidenti le grandi bancate di calcare o paretine verticali, in cui la superficie si presenterà più o meno lavorata da solchi e fessurine parallele, lungo la direzione di scorrimento delle acque meteoriche. Queste incisioni avranno una profondità più o meno accentuata a secondo dello stato di avanzamento del fenomeno erosivo, fino a provocare alla fine il completo distacco dei vari corpi precedentemente separati, che acquisteranno la forma di piccoli pinnacoli o di singoli blocchetti. Questi ultimi saranno sempre più separati tra loro, fino alla produzione negli interstizi di quella terra scura di cui si è accennato.

            Sulle superfici orizzontali è anche possibile che il ristagno dell’acqua in alcune forme strutturali preesistenti causi dei buchi di varia dimensione e profondità, altrove chiamati coppelle.

            L’intersecarsi di simili incisioni, nelle forme più evolute, crea prima della fratturazione del blocco calcareo, un vero e proprio labirinto di fessure e buchi, a volte comunicanti (clessidre).

            Nella conca di Lago Vivo non si sono invece osservate altre forme tipiche del carsismo: le doline, almeno non nella forma e consistenza osservate altrove (Monte Godi), ma semplici depressioni appena accennate. La forma chiusa di questa valletta sembra non sia riferibile a carsismo (polje), ma piuttosto alla deposizione di cumuli di detriti (morene) da parte delle lingue glaciali, che hanno sopraelevato i margini della conca.

            Per quanto riguarda gli inghiottitoi, non sempre essi hanno uno sbocco sotterraneo: sul loro fondo molto spesso si  accumulano i detriti dell’erosione che con le loro parti insolubili danno origine alla “terra rossa”, dalle caratteristiche impermeabili che impediscono l’infiltrazione e la percolazione dell’acqua. Sotto monte Iannazzone la carta topografica dell’IGM localizza almeno tre inghiottitoi, in uno dei quali sicuramente defluiscono le acque del piccolo laghetto fornite dalle nevi e dalle sorgenti.

          Osservazioni sul glacialismo

Nel Quaternario (da due milioni di anni fa ad oggi) gli studiosi hanno calcolato almeno 5 grandi glaciazioni, conosciute oggi con i nomi di: Donaü, Gunz, Mindel, Riss, Würm. Quest’ultima, che più da vicino ha interessato la vita dell’uomo preistorico, è terminata 11.500 anni fa.

            In questi periodi intensamente freddi, durati molte migliaia di anni, le calotte glaciali hanno raggiunto anche le terre a clima temperato, quindi la penisola italiana e gli Appennini. I ghiacci coprivano gran parte delle terre dell’attuale Abruzzo, scendendo a quote inferiori ai 1200 metri.

            Questi lunghi periodi sono stati intercalati da altrettanti periodi a clima più mite, conosciuti come interglaciali, in cui si assisteva non solo al ritiro dei ghiacci, ma alla contemporanea risalita in termini di altitudine e di latitudine di molte delle specie vegetali e di conseguenza della fauna dell’epoca.

I ghiacci sono un elemento di grande modellamento del paesaggio, ricoprendo essi grosse porzioni di territorio ed esplicando una lenta ma profonda azione nel tempo, attraverso l’erosione, il trasporto e la deposizione di materiale (clasti). Le impronte più caratteristiche che oggi restano sul territorio sono i circhi glaciali e i depositi morenici.

            I circhi glaciali sono superfici semicircolari, spianate e circondate da pareti. E` accettata l’ipotesi che un circo debba la sua origine ad un precedente bacino di raccolta torrentizio a forma di imbuto, il cui fondo, occupato da neve e ghiaccio è andato via via allargandosi, per la demolizione e il ritiro (regressione) delle pareti laterali che diventano molto ripide a causa dell’azione del gelo. Raramente essi si presentano isolati, ma piuttosto raggruppati (coalescenti).

            Nel territorio del parco i circhi glaciali sono presenti specialmente sul versante orientale dell’allineamento Camosciara-Petroso-Meta-M.a Mare, dove se ne contano undici; sul versante orientale della Serra delle Gravare; sui versanti settentrionali di Monte Marsicano (due) e Monte Palombo; lungo la cresta di M.Marcolano (tre); sulla Costa Caprara (due); sull’allineamento M.Ceraso, Balzo dei Tre Confini, Picco la Rocca, M.Tranquillo (quattro) e tra M.Argatone e La Terratta (cinque).

            I processi di modellamento delle lingue glaciali sono notevoli: il ghiaccio a causa della forte pressione che esercita può frantumare la roccia, specialmente sulla fronte e lungo i bordi della colata. Altrove produce erosione meccanica per attrito, sotto forma di striature, levigatura, arrotondamenti (rocce montonate) ed esarazione (azione erosiva delle acque di fusione). Questi effetti sono difficilmente riscontrabili sulle montagne appenniniche, a causa del successivo rimodellamento del territorio da parte del carsismo, che ha cancellato le tracce più superficiali.

            A differenza delle incise valli fluviali, quelle di origine glaciale presentano una erosione lungo tutta la loro ampiezza che le caratterizza con il tipico profilo a U. Queste sono difficilmente identificabili nel territorio in questione (forse la Valle dei Biscurri); sono presenti invece con magnifiche testimonianze sul Gran Sasso, sulla Majella e sul Velino.

            I detriti trasportati dal ghiacciaio, da minuscoli ciottoli a massi di grandi dimensioni, vengono depositati alle estremità della lingua, cioè sulla fronte e lungo i fianchi di questa, dando origine alle morene. Al ritiro dei ghiacci queste sono identificabili come accumuli di detriti (come quelli osservati nella conca di Lago Vivo), costituendo successivamente sbarramenti e gradini lungo le valli.

            Fenomeni glaciali di più modesta dimensione sono i funghi rocciosi e i massi erratici; questi ultimi presenti un po’ ovunque, anche a quote relativamente basse (1300/1200 mt), testimoniano la forza della massa glaciale che riesce a trasportare -in questo caso sulla sua superficie- materiale roccioso di grandi dimensioni, come i massi che ingombrano appunto l’imbocco della conca di Lago Vivo, sul lato della valle dell’inferno.