Nelle fredde e
limpide giornate autunnali salendo una qualche modesta elevazione non lontano da casa, mentre si guadagna
quota verso la vetta si può assistere ad uno spettacolo non unico, ma certamente singolare.
Uscendo
dai lunghi valloni che si dipanano nella parte inferiore della montagna, si offre alla vista un
panorama che si allarga pian piano, come le quinte di una scena immensa, sino ad abbracciare un orizzonte
a 360 gradi che, di valle in valle, di monte in monte, ci porta presto fuori dagli stretti limiti di una
terra che ha tutti gli attributi per essere definita regione verde.
A volo d'uccello si può avere un
colpo d'occhio sull'Abruzzo e le terre di confine.
In questa scena mozzafiato le vere protagoniste non sono le valli, che coperte di impalpabile foschia
sfumano pian piano in direzione del mare, né le brune dorsali, che partendo dalle basse colline tessono
la ragnatela di questo territorio, ma alcune montagne, che isolate e appariscenti si ergono distinte
stagliandosi nel cielo blu.
Ben al di sopra dei 2000 metri, come sentinelle ai quattro punti cardinali si
scorgono: a nord con forma turrita il Gran Sasso d'Italia, celebrazione dolomitica in Appennino,
alla sua sinistra, a cavallo tra Lazio, Abruzzo e Marche, meno distinto, il misterioso massiccio della
Laga.
Volgendo decisamente lo sguardo ad ovest, vicine tra loro risultano due catene, quelle
del
Velino e del Sirente, terre aspre fin dall'antichità. Verso sud la scena è chiusa dalle vette
dei
Marsicani e dai monti del P.N.A., ammantati di folta vegetazione. A chiudere il cerchio è la
lunga dorsale della
Majella, che come un enorme capodoglio emerge al di sopra delle brume che ricoprono le valli e si
allunga ancora verso meridione con l'affilata cresta del
Porrara.
In queste giornate, quando anche il più piccolo cirro è bandito da questa composizione perfetta, la
sensazione che si prova è forte e inebriante. Allora si vorrebbe esplorare ogni palmo di questo territorio,
toccarne tutte le cime, percorrerne le creste, immergersi nei profondi canyons e camminare sotto le alte
volte delle faggete, dove i raggi del sole penetrano come dalle vetrate di una cattedrale. Si vorrebbe
ancora salire spediti per gli erti pendii e scalarne le pareti più nascoste, in un vagabondare che presto
si trasforma in una febbre che si spegne solo se alimentata da momenti di libertà assoluta e da spazi immensi
e incontaminati.