Archeo
Pitture rupestri nelle Gole di San Venanzio - Rava Tagliata
Non sono bastati 5000 anni a cancellare le tracce che nostri lontanissimi antenati hanno lasciato sulla roccia di uno sperone roccioso di un anonimo pendio vallivo, che all’epoca doveva essere lambito dalle stesse acque che ora scorrono molto più in basso. Tracce indelebili queste, di un sentimento tutto umano di segnare in qualche modo un evento, un concetto, un'emozione, e così facendo fermarla nel tempo. Questa delle emozioni quotidiane nell’uomo preistorico è qualcosa che solo da poco i ricercatori stanno recuperando, dove altrimenti le figure dell’uomo di Neanderthal come il Sapiens, da sempre erano rimaste intrappolate in uno schema che tendeva a spiegare l’intero concetto di evoluzione durata milioni di anni, semplicemente relegandola ad eventi materiali legati alla sopravvivenza e al sostentamento, quindi a meri episodi di caccia, difesa e produzione di strumenti e manufatti.
La riflessione che ciò che di artistico la preistoria ci ha lasciato, non sia forse semplicemente un atto di rappresentazione della realtà, ma bensì un modo per esprimere quanto di più profondo e intimo si nascondeva negli animi di quegli uomini -perché tali erano-, ha rivoluzionato completamente l’ottica di osservazione, di studio ed interpretazione dei segni lasciati con un semplice spalmare ocra o il graffiare una superficie rocciosa, in giorni lontanissimi dalla nostra epoca, in senso temporale ma anche spaziale, per l’abisso che ci distanzia da questo universo ormai dissolto. Ciò che non è mutato nelle migliaia di anni sono le emozioni proprie che solo un essere pensante può percepire; emozioni primarie dettate dai grandi enigmi che un essere piccino di fronte all’universo e al mistero della vita può avvertire: l’origine delle cose, la morte, il dolore, l’affetto, la paura, la gioia. Queste domande e il sentimento scaturitone hanno dato origine alle credenze, alla ritualità, al culto, stigmatizzando i rapporti tra gli esseri e le interazioni con il mondo circostante.
Tutto questo si ritrova nell’arte preistorica, in una varietà di espressioni e concetti codificati che nel tempo si sono incontrati, sovrapposti, mutati e sviluppati. Trovarne la chiave di identificazione ed interpretazione è un lavoro difficoltoso, molto più arduo dell’interpretazione di qualsiasi geroglifico o antico codice di scrittura, lì dove la scrittura era ancora lontana da venire. L’arte rupestre è la rappresentazione più stupefacente e straordinaria dell’evoluzione umana nella preistoria, qualcosa di molto complesso che abbraccia un lasso di tempo davvero enorme e, probabilmente, sotto altre forme e concetti è arrivata fino a noi. Nell’arte non ci sono confini, oggi come migliaia di anni fa, per cui le rappresentazioni dell’arte rupestre si ritrovano pressoché identiche in Italia come oltre le Alpi, in Francia, in Cantabria. Si tratta di similitudini legate da una sorta di parentela iconografica, in siti a volte molto lontani tra loro in termini spaziali. Non mancano infatti similitudini con rappresentazioni localizzate nel Sahara, in Palestina, in Cina addirittura. Le forme a cui l’uomo “primitivo” diede vita, nelle infinite varianti legate a schemi propri di un particolare territorio-ambiente, ma anche a stili prettamente personali dell’artista, sono oggi classificabili proprio perché all’epoca in cui furono realizzate erano probabilmente già codificate, proprio come un linguaggio. Questi codici passavano attraverso la rappresentazione simbolica di un concetto, che con il tempo diverrà sempre più stigmatizzato.
L’arte definita come “rupestre”, si riferisce all'insieme di raffigurazioni realizzate su supporti rocciosi e suddivise in tre grandi filoni: l’arte parietale, realizzata sulle pareti verticali di ripari sotto roccia o grotte, le superfici istoriate, caratterizzate da lastre rocciose orizzontali affioranti dal terreno e all’aperto, ed infine l’arte ipogeica, consistente nella decorazione dei monumenti megalitici, ma di età più tarda cosiddetta dei metalli. L’arte parietale, di solito prodotta in punti riparati dagli agenti atmosferici, si compone spesso di “pannelli” o sezioni con figure dipinte, ma spesse volte si riscontrano esempi di incisioni o graffiti. Mentre l’arte parietale è il genere di espressione tipica del Paleolitico Superiore, le superfici rocciose all’aperto sono invece largamente diffuse nei periodi successivi fino al neolitico, la cui tecnica favorita è l’incisione. L’arte ipogeica o megalitica è invece legata ai grandi complessi tombali del tardo neolitico-età del bronzo, scavati nel sottosuolo e decorati sulle pareti con pitture ed incisioni.
Il sito preistorico di Rava Tagliata è ubicato nelle Gole di San Venanzio, l’incassato canyon scavato dal fiume Aterno nel suo tratto più spettacolare, tra gli abitati di Raiano e Molina Aterno. Uno sperone roccioso immerso nella vegetazione fitta, che al pino affianca roverelle e lecci oltre ad una varietà impressionante di specie arbustive tipiche della macchia mediterranea e dei pascoli aridi.
Sul suo versante esposto ad est, ad una quota di 410 metri slm, si apre un ampio e poco inciso sgrottamento di calcare giallo, con intrusioni ferrose che danno all’insieme una colorazione rossastra. A pochi metri da terra, sulla superficie liscia di una scaglia di roccia, le pitture coprono una superficie di circa 80 per 60 cm. I segni rappresentati, generalmente rientranti nella tipologia del simbolismo, sono in parte nel tipico color rosso ed in parte di colore più scuro, tendente al mattone o marrone.
Segnalato per la prima volta dallo studioso Guido Mostacci con una scarna descrizione sul Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici (XXX, 1997, pag. 66) il sito, presumibilmente non più visitato, è stato nuovamente localizzato grazie alla collaborazione del Dott. Tommaso Mattioli dell'Università degli Studi di Perugia, che ne ha effettuato il rilievo puntuale dal punto di vista topografico e iconografico.
Giancarlo Guzzardi 2007 - © diritti riservati
Per approfondimenti:
Visita il sito di arte rupestre dell'Appennino