Archeo
L'Uomo Preistorico nel comprensorio del Gran Sasso d'Italia
Il frutto delle ultime ricerche sull’Uomo Preistorico in Abruzzo hanno ampiamente dimostrato che per comprendere appieno il quadro sulla distribuzione e la tipologia degli insediamenti umani, bisogna innanzitutto considerare le variazioni climatiche e ambientali che si sono verificate all’epoca, insieme al conseguente sviluppo dei diversi tipi di economia e quindi dello stile di vita delle popolazioni, nei diversi periodi che la trattazione sistematica della materia ha individuato in Paleolitico, Mesolitico, Neolitico, fino ad arrivare all’Età dei Metalli: Età del Rame (o Eneolitico), Età del Bronzo, Età del Ferro.
Due milioni di anni fa da oggi viveva l’Homo habilis; frutto di una svolta significativa nella lunga evoluzione dagli ominidi (Australopiteci) all’uomo. Egli possedeva tutto quello che contraddistingue quest’ ultimo nelle sue caratteristiche fisiche, culturali e sociali, anche se in forma elementare. Ma questo rappresenta solo il periodo arcaico nella storia dell’umanità; l’inizio del Paleolitico, quindi l’alba dell’Uomo, si fa coincidere con la comparsa sulla scena dell’Homo Erectus, che visse durante il Pleistocene inferiore e medio, fino a circa 300.000 anni fa.
Egli si distingue per una maggiore robustezza e un pronunciato aumento del volume cerebrale; caratteristiche significative che daranno vita ad una organizzazione sociale più intensa, ad “industrie litiche” più raffinate, alla scoperta del fuoco ed ad un preciso uso dei luoghi come insediamento. La culla di questi umani fu l’Africa orientale, ma nel corso di quasi due milioni di anni, essi colonizzarono tutto il pianeta, migrando verso l’Asia e l’Europa. In questo ultimo continente verso il tardo Pleistocene visse l’Homo Neanderthalensis.
Questi uomini stabilirono già un rapporto ben preciso con il territorio; la loro sopravvivenza era legata alle risorse disponibili in una determinata regione, che erano sì limitate, ma in compenso dovevano soddisfare nuclei familiari molto ristretti. Una volta esaurite le risorse in un luogo, l’uomo si spostava in altri spazi vicini in grado di fornirgli la selvaggina e i prodotti vegetali.
A volte erano i cambiamenti climatici o l’avvicendarsi delle stagioni a suggerire gli spostamenti, per la ricerca di condizioni di vita più favorevoli. I luoghi in cui l’uomo si insediava si trovavano generalmente vicino ai corsi d’acqua e a formazioni rocciose da cui ricavare la selce necessaria per costruire gli arnesi, sia per la caccia, sia per tagliare la carne o per raschiare le pelli degli animali. Sono diffusi in questa epoca gli accampamenti provvisori, usati dai cacciatori nelle loro scorribande specie in alta montagna e non dall’intero nucleo familiare.
Questo tipo di organizzazione del territorio rispecchia quindi un’economia fondata essenzialmente sulla caccia agli animali e sulla raccolta dei prodotti della natura.
Le condizioni ambientali si fecero particolarmente rigide all’inizio della glaciazione di Würm e si accentuarono man mano. Gli uomini fronteggiarono l’ambiente divenuto più severo, con una sorta di adattamento al clima, sia con la loro struttura fisica, più robusta, sia con innovazioni culturali che si riscontrano oggi nei diversi stadi delle varie industrie litiche. La vita continuava ad essere essenzialmente legata alla caccia, quindi comportava l’utilizzo provvisorio di un territorio, essendo condizionata dalla presenza di selvaggina, oltre che dal reperimento dell’acqua e della selce. Grotte e ripari sotto roccia continuavano ad essere utilizzati come abitazioni, ma questo comportamento non era diffuso, per via della presenza di animali feroci, come l’Orso Speleo, che frequentava anch’esso questi luoghi come dimora.
L’Homo Sapiens Sapiens, definito anatomicamente moderno, compare in Europa 40.000 anni fa e il suo stile di vita viene fatto coincidere con il Paleolitico Superiore.
Il livello culturale e di vita che distingue queste popolazioni è caratterizzato da più raffinate tecniche di lavorazione della selce, insieme all’utilizzo sistematico dell’osso e del tessuto corneo, che si accompagnano ad un lento ma inarrestabile sviluppo sociale, religioso e artistico.
Lo stile di vita dell’Uomo Sapiens Sapiens era quello dei cacciatori-raccoglitori: non c’erano insediamenti stabili sul territorio, perché la permanenza in una località era ancora condizionata dalle risorse naturali disponibili. Tuttavia le aree frequentate, sono meno condizionate dalla presenza della selce, perché gli strumenti del Paleolitico superiore, più piccoli e versatili, possono essere meglio trasportati. Inoltre, per una maggiore organizzazione nella caccia e per l’abbondanza della selvaggina, alcuni accampamenti assumono un carattere semistabile.
Il Paleolitico inferiore
L'Abruzzo, per la sua particolare conformazione geologica, è riuscita a soddisfare in tutti i tempi le esigenze poste dal genere di vita delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico Inferiore, vissute durante il Pleistocene e che quindi abbraccia un lasso di tempo veramente smisurato: da circa 1 milione e 800.000 anni a 35.000 anni fa.
La loro attività svolta nella lotta per la sopravvivenza è però ben documentata dalle industrie litiche (giacimenti di utensili in selce e scarti di lavorazione) che si rinvengono lungo i terrazzi fluviali e ai margini degli antichi laghi. Le condizioni di vita e l’evoluzione culturale sono dipese dalle condizioni climatiche proprie dell’era Quaternaria, dovute all’alternarsi dei periodi glaciali e interglaciali che causarono notevoli mutamenti dei climi, quindi dell’ambiente. Se si tiene conto che durante i periodi di avanzata dei ghiacci il clima era di tipo oceanico, con piogge abbondanti durante tutto l’anno, mentre era continentale con piogge scarse nelle fasi di ritiro dei ghiacci e tendenza al gran caldo, ci si rende conto delle conseguenze di queste situazioni sulle associazioni vegetali, sia in senso della latitudine (dal nord Europa verso il Mediterraneo) che dell’ altitudine (dalle alte quote verso la valle). Di questa situazione risentirono anche gli animali che hanno un loro specifico habitat; ogni cambiamento di orizzonte vegetale determinava la migrazione di alcune specie animali. In Europa il grande freddo e la sterile tundra spingevano verso sud sia gli animali che gli uomini che, successivamente, rifacevano il percorso inverso durante i periodi caldi degli interglaciali. -”I gruppi di cacciatori che in più ondate, in momenti diversi e con differenti tradizioni culturali, giunsero nel rifugio dell’Europa, vi rimasero a lungo, donde la coesistenza di industrie sorte in momenti diversi.” (A.M.Radmilli, Primi uomini in Abruzzo, Pescara, 1999).
Naturalmente tutto ciò avveniva nell’arco di centinaia di migliaia di anni che, solo oggi noi, con metodo, riusciamo ad analizzare come eventi tangibili rapportabili alla nostra scansione del tempo, ma -”questi eventi avvenivano nello spazio di millenni per cui l’uomo nel corso della sua vita ben poco risentiva delle conseguenze dovute alla lenta modificazione dei paesaggi e degli ambienti (...) (A.M.Radmilli, opera citata).
Contemporaneamente la caccia degli animali, che in branco effettuavano le loro migrazioni stagionali, costringeva il cacciatore a spostamenti in un territorio vasto, ma ben caratterizzato sotto l’aspetto dell’ambiente e del paesaggio; territorio che sotto la spinta delle modificazioni climatico-ambientali, era costretto ad abbandonare. Gli animali che popolavano questo territorio contemporaneamente all’uomo preistorico erano: l’elefante, l’uro o bue primigenio, il cervo elaphus, il cavallo, l’orso, il leone delle caverne, il capriolo e molti altri.
I giacimenti del Paleolitico si trovano sia lungo le coste tirreniche che adriatiche, il che farebbe supporre che il loro arrivo in Abruzzo sia avvenuto sia dall’est che dall’ovest (quando durante le fasi glaciali parte di questi due mari erano in fase di regressione), con successivo scavalcamento della catena appenninica. La maggior parte dei reperti sono stati trovati nella parte compresa tra la costa adriatica e la barriera montuosa costituita a NE dai Monti della Laga, dal Gran Sasso, dalla Majella e a SO dal Velino, dal Sirente e dal Monte Marsicano.
Le zone coincidenti con il piano montano della vegetazione erano ambienti favorevoli alla caccia e agli insediamenti all’aperto per tutta la durata del Paleolitico, mentre le zone di alta montagna potevano essere frequentate solo durante gli interglaciali e gli interstadiali con clima più mite. Durante l’ultima glaciazione (Würm) si è calcolato che il limite inferiore delle nevi permanenti era attestato al di sotto dei 1200 metri; questo vuol dire che gran parte delle aree interne dell’Abruzzo erano sotto una spessa coltre di ghiacci e quindi inabitabili.
Le popolazioni che in seguito a lunghe migrazioni erano giunte dal nord Europa, nel bacino del Mediterraneo, non avvertivano più l’impulso di ulteriori spostamenti. Il loro nomadismo totale si affievoliva e si trasformava in un nomadismo nell’ambito di un territorio ben definito, come quello dei cacciatori che presero stanza in Abruzzo. Essi trovarono in tutti i periodi del Pleistocene ambienti favorevoli al loro genere di vita, adattandosi ad un nomadismo parziale legato alle condizioni morfologiche della regione. In questo senso variavano anche i tipi di insediamento che prevedevano quelli a carattere continuativo, periodico o occasionale. Questi ultimi, abitati esclusivamente dai cacciatori, erano condizionati dal passaggio dei branchi di animali, in zone non idonee ad uno stanziamento continuativo.
Ad eccezione degli accampamenti periodici e di breve durata, sulle alte vette delle montagne che venivano frequentate per la caccia degli animali che vivevano in quota (stambecco, camoscio), le zone più idonee restavano i terrazzi fluviali e i bacini lacustri.
Le caratteristiche dei reperti raccolti nelle zone di alta montagna denota un sistema di vita basato sul nomadismo stagionale, per cui, il carattere provvisorio delle soste, può avere influito sulla lavorazione degli utensili, che risultano spesso trascurati nel ritocco. Comunque le stazioni poste in alta montagna corrispondevano pienamente alle esigenze dei cacciatori, nelle fasi in cui il clima spingeva verso l’alto sia il manto vegetale sia gli animali; infatti ragguardevoli sono i siti rinvenuti a quote elevate sui diversi massicci abruzzesi; anche perché non và dimenticato che i calcari presenti quasi ovunque in Abruzzo, contenevano la selce, materia prima ricercata dai cacciatori.
Siti del Paleolitico inferiore presenti sul Gran Sasso:
S.Stefano di Sessanio, Castel del Monte, Calascio, Vado di Sole, Villa Celiera, Lago del Voltigno, Farindola.
Da questo breve elenco si evince che, a fronte di innumerevoli siti preistorici sparsi tra la valle e le zone pedemontane, il corso dei fiumi e gli specchi lacustri, i siti di alta montagna frequentati dai cacciatori solo periodicamente e in maniera discontinua, risultano sul Gran Sasso in numero veramente esiguo, almeno fino a quando nuove scoperte non apporteranno ulteriori contributi al quadro odierno delle conoscenze in materia.
Il Paleolitico superiore
Le popolazioni che giunsero in Abruzzo intorno ai 18.000 anni fa, vivevano esclusivamente dei prodotti della caccia. Di conseguenza le varie modificazioni climatico-ambientali diedero periodicamente origine ad una serie di adattamenti da parte dell’uomo, generando così diversi modelli di vita. In breve nel Paleolitico, dipendendo l’uomo in tutto e per tutto dalla fauna, fine primario della sua attività di cacciatore, era oltremodo sensibile a ogni piccola variazione che producesse effetti sulla quantità e qualità delle specie animali presenti sul territorio. Ben lontano era dunque per l’Uomo il momento del dominio sull’ambiente; questo infatti, dopo una lunga evoluzione si avrà solo nel Neolitico (circa 6.000 anni fa) con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame.
Una volta giunto nella nostra regione, la varietà di ambienti legata ad una particolare morfologia, favorì uno stanziamento di tipo continuativo. La presenza di grandi specchi lacustri, lunghe vie di transito rappresentate dalle valli fluviali, importanti giacimenti di selce (insostituibile materia prima per la costruzione di qualsiasi utensile), fauna abbondante e varia insieme ai prodotti della pesca, esistenza alle medie quote di grotte e ripari sottoroccia da utilizzare come ricoveri stagionali, l’opportunità di raggiungere con relativi piccoli spostamenti siti di caccia posti a valle o in montagna: questa la sinergia di fattori che favorì la colonizzazione del territorio; fenomeno che si svolse sempre, anche nelle epoche successive, partendo dal mare e dirigendosi verso l’interno, seguendo le grandi vie d’acqua.
Proprio sui comodi terrazzi fluviali, dove la selvaggina transitava per l’abbeverata e non lontano si rinvenivano promettenti filoni di selce, negli ultimi 50 anni si sono avute le scoperte più fortunate della paleontologia. Infatti gli insediamenti più rappresentativi e meglio conservati sono appunto localizzati lungo i corsi d’acqua: in Val della Vibrata e lungo il corso del fiume Tavo, per esempio. In queste due scenari si sono sviluppate rispettivamente ciò che i paletnologi chiamano “culture” di Ripoli e Bertoniana. Orizzonti culturali che, lungi dall’essere conosciuti nella loro complessità, rendono possibile oggi, tramite associazioni e analogie, la lettura di altri enigmi legati agli insediamenti successivamente scoperti.
Intorno al massiccio del Gran Sasso si ha un cospicuo numero di “giacimenti” del Paleolitico superiore (da 25.000 a 9.000 anni fa), che hanno contribuito a far conoscere lo stile di vita di un Uomo definito moderno (Sapiens Sapiens) dopo il più antico Uomo di Neandertal. Tra questi, quelli rinvenuti in due località nei pressi di Campo Imperatore: Fonte della Macina e Lago sfondo, rispettivamente a 1500 e 1365 metri sul livello del mare. Altro sito è stato individuato al di sopra della Grotta a Male di Assergi, in località Fonte della Pietà.
E` interessante osservare che la presenza di acqua, sotto forma di laghetti o torrenti, ma più spesso di sorgenti, è un motivo ricorrente nei siti preistorici e lo diventerà ancor più nei millenni successivi, quando la presenza delle acque si legherà a tradizioni rituali e cultuali. In epoca storica lo stesso culto delle acque si trasformerà nel culto di San Michele Arcangelo, di cui tutto il territorio abruzzese porta testimonianze.
Altri giacimenti del paleolitico superiore sono stati scoperti nei dintorni di Rigopiano (1200 mt s.l.m.) a Farindola sul greto del torrente Gallero e a Montebello di Bertona. Quest’ultimo sito è tra i più importanti dell’ intera regione: su di una scarpata messa a nudo dall’azione erosiva del torrente Gallero è stato possibile rinvenire una successione di strati (stratigrafia) risalenti al Pliocene, inglobante una “industria litica” con reperti che vanno dal Musteriano (120.000 - 35.000 anni fa) al Paleolitico Superiore, fino al Neolitico ed epoche successive. Tra numerosi strumenti in pietra sono stati rinvenuti i resti inconfondibili di un fuoco, ossa animali e l’impronta lasciata da quella che un tempo doveva essere una capanna in legno e frasche.
Montebello di Bertona è stata la prima “stazione all’aperto” risalente al Paleo Superiore, scoperta in Abruzzo. Un insediamento frequentato dai cacciatori durante la bella stagione. Lo studio dei numerosi reperti insieme all’analisi di quello che doveva essere l’ambiente dell’epoca, ha permesso di riscontrare particolari caratteristiche di questa popolazione, tali da consentire l’uso del termine “Cultura Bertoniana”.
L’attività della caccia ha sempre comportato un movimento e di conseguenza uno stile di vita nomade stagionale, almeno nei territori con una morfologia così varia come l' Abruzzo. Lo studio dei resti di fauna (paleontologia) presso i focolari dei siti paleo, contribuisce a comprendere l’assetto orografico e ambientale dell’epoca, grazie anche alle più rare tracce fossili della flora (palinologia). Si è appurato che nelle fasi glaciali con clima freddo vivevano in pianura lo stambecco, il camoscio, la marmotta, i cavalli, e la caccia non richiedeva grandi spostamenti, almeno in verticale, dal piano al monte. Con l’appressarsi di un clima di tipo continentale, negli interglaciali e interstadiali, caratterizzati da un evoluzione verso temperature calde, i cacciatori nella bella stagione raggiungevano stazioni a quote veramente elevate (2600 metri sulla Majella), per la caccia ai grandi mammiferi che ormai si erano ritirati sui pascoli d’alta montagna, in zone ormai libere dai ghiacci. Qui le piccole comunità trovavano rifugio nelle grotte, di cui i massicci calcarei abruzzesi non sono avari.
Il Mesolitico
Questo tipo di scenario resta pressoché invariato anche nel Mesolitico (da 10.000 a 6.000 anni fa), quando alcuni raggruppamenti umani continuarono a vivere di un economia basata sulla caccia, contemporaneamente ad altri che alternavano alla caccia a piccoli mammiferi la raccolta di molluschi, radici e frutti selvatici. Tutto ciò fino all’avvento degli agricoltori del Neolitico che furono l’apice di una lenta evoluzione caratterizzata da risposte differenziate di vari raggruppamenti umani alle profonde modificazioni causate sull’ambiente dal clima instauratosi dopo le cinque grandi glaciazioni del Quaternario (Donau, Günz, Mindel, Riss, Würm).
Le “scoperte” dell’agricoltura e dell’allevamento ebbero bisogno di un periodo di transizione più o meno lungo (Mesolitico), in cui ai gruppi di cacciatori e raccoglitori autoctoni, si unirono ceppi di popolazioni provenienti dall’Asia e dal Mediterraneo orientale. Queste portavano con se un nuovo tipo di economia originatosi nelle terre della “mezzaluna fertile”: una fascia di terra generosa stretta tra i corsi dei fiumi Eufrate e Tigri, culla delle prime grandi civiltà umane (Sumeri, Assiri, Babilonesi).
E' chiaro che mentre da qualche parte si andava affermando un nuovo stile di vita, altrove persistevano tradizioni legate al Paleolitico, da parte di gruppi di cacciatori-raccoglitori. Infine anch’essi finirono per fondersi con le nuove popolazioni.
L’Abruzzo per le sue caratteristiche morfologiche deve essere risultato idoneo ai primi agricoltori: il territorio, anche in ambiti ristretti, offriva sempre e facilmente asilo, anche quando altrove le modificazioni del clima spingevano le popolazioni ad abbandonare i territori e ad emigrare.
Le zone interne della regione, con formazioni calcaree e arenacee, dalle conformazioni a volte aspre (Gran Sasso), altre più dolci (Majella), sono solcate da valli fluviali che corrono in direzione Nord Est, verso il mare Adriatico, a volte dando origine ad ampie conche, mentre estesi altopiani si aprono a quote spesso elevate (Campo Imperatore, Altopiani Maggiori), offrendo fonte inesauribile di pascolo agli animali selvatici, ma anche alle greggi di pecore e capre, primi animali (dopo il cane) ad essere addomesticati.
La media montagna è ricca di acque ed ampi bacini lacustri (Fucino, Conca Peligna, Piana dell’Aquila) costituiscono ulteriore ambiente idoneo ad attività sussidiarie come la pesca e la raccolta di molluschi. Già i gruppi di cacciatori, insediati lungo i terrazzi fluviali, conducevano un tipo di vita quasi sedentario o seminomade: non vi era bisogno di grandi spostamenti per sorprendere la selvaggina. Con le temperature più calde i grandi mammiferi si erano spostati alle quote più alte e non restava che cacciare i piccoli mammiferi che vivevano nei dintorni, integrando la dieta con molluschi, volatili e pesci sulle rive dei laghi. Questo tipo di economia, basato solo su risorse disponibili in una determinata zona, dovette avere ad un certo punto un forte incremento, dovuto forse proprio alla evoluzione delle presenze animali: uccelli, pesci e piccoli mammiferi, grazie alle modificazioni in senso positivo del territorio.
Il nomadismo ormai contenuto costituì uno dei fattori che contribuirono all’avvento del nuovo tipo di economia, ma l’imput necessario giunse dall’esterno, da quelle popolazioni che giungevano da territori dove le graminacee (grano, orzo, farro) erano diffuse.
Per quanto riguarda gli insediamenti attestati lungo la costa, l’Abruzzo non ha restituito grandi reperti, a causa delle profonde modificazioni del paesaggio, stravolto dall’erosione (calanchi) delle argille plioceniche che costituiscono il suolo di base.
Il Neolitico
I giacimenti del Neolitico sono tutt'altro che frequenti sul Gran Sasso, localizzati in alcune stazioni nella conca dell’Aquila; al contrario sono molto diffusi lungo le maggiori valli fluviali, in presenza di paesaggio collinare o alla foce dei fiumi o, caso particolare, numerose sul massiccio della Majella, che non a caso presenta caratteristiche orografiche e morfologiche meno severe del massiccio del Gran Sasso.
Lungo le rive del Lago Fucino, ora scomparso, in stazioni per lo più localizzate in grotta, si sono rinvenuti giacimenti del neolitico importantissimi, che negli ultimi decenni hanno dato un apporto significativo allo studio di questa età e delle popolazioni preistoriche in Abruzzo.
Per quanto riguarda l’Abruzzo, nella non facile ricostruzione delle vicende che seguirono il passaggio dal periodo Paleolitico al Neolitico (Mesolitico, circa 10.000 anni fa), bisogna considerare tre aspetti fondamentali: l’acquisizione da parte dell’uomo dell’agricoltura alla fine del VI millennio a.C. (coltivazione dei cereali: grano, orzo e farro); la nascita dei villaggi stabili e la comparsa nella vita quotidiana della ceramica.
-”Con gli inizi del Neolitico si verifica una vera e propria rivoluzione nel rapporto dell’uomo con l’ambiente, in particolare nel passaggio da forme di economia di sussistenza legate alla caccia e alla raccolta di frutti spontanei della natura, a nuove forme economiche collegate all’introduzione sistematica dell’agricoltura. (...) Rispetto alla fascia pedemontana, interessata da tali forme di popolamento permanente, và distinguendosi un’area montana a quota più alta, con forme di frequentazione stagionale connesse all’allevamento transumante ed allo sfruttamento delle risorse montane.”- (M.P.Moscetta, Neolitico ed Età del Rame, Teramo 1996).
In pieno Neolitico, (tra il V e il IV millennio) in Abruzzo il modo di vivere prevedeva insediamenti collocati lungo la fascia costiera e sui terrazzi fluviali posti nelle valli solcate da fiumi e torrenti che dalle montagne appenniniche scorrevano in direzione del mare Adriatico (vedesi i grandi siti neolitici della Val Vibrata, Val Pescara, Valle Giumentina). La complessa orografia delle aree interne della regione, frenò per molto tempo l’espansione delle popolazioni autoctone che, generalmente attestate lungo le coste, premevano verso l’interno sempre più incalzate da nuovi ceppi di genti provenienti dall’oriente attraverso i Balcani e la vicina Illiria. In queste aree montuose comunque, gli insediamenti erano generalmente ubicati nei pressi di bacini lacustri (piana dell’Aquila, Valle Peligna, lago del Fucino) e qui si avranno infatti negli ultimi decenni i ritrovamenti archeologici più consistenti.
Per termine Neolitico è universalmente inteso quella profonda modificazione delle attività economiche umane, che sostituisce la ricerca delle risorse naturali (raccolta e caccia) con la addomesticazione di alcuni animali e la coltivazione elementare di determinate piante. Questa ultima attività poté affermarsi con relativa facilità perché le comunità di raccoglitori, cacciatori e pescatori conducevano ormai un genere di vita abbastanza sedentario. Ma questo non basta a spiegare l’insorgere dell’agricoltura e la sua completa affermazione; secondo Radmilli infatti -”...la maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che la causa principale del sorgere dell’agricoltura vada ricercata nelle situazioni climatico-ambientali che si verificarono alla fine della glaciazione würmiana.”- E` indubbio però che a questa lenta ma sostanziale modifica nello stile di vita della razza umana concorsero più fattori, non ultimo l’esplosione demografica e la presenza allo stato selvatico, in particolari territori fertili, delle graminacee. E' questo il momento nel quale l’uomo, ormai agricoltore, riuscì per la prima volta a modificare in suo favore, entro certi limiti, alcuni ambienti e alcuni paesaggi attraverso il disboscamento dei terreni messi a coltura.
Come l’uomo sia arrivato all’addomesticamento degli animali è un problema tuttora non risolto e numerose sono le ipotesi in merito. -”Un dato è certo, cioè che l’addomesticamento fu possibile per alcune specie “di un certo grado sociale”, dunque per quegli animali che vivevano in greggi, in mandrie ed avevano quindi relazioni sociali con i propri simili.”- (Radmilli, I primi agricoltori in Abruzzo, Pescara 1997). Dopo il cane (o meglio il lupo), che vivendo nei pressi degli accampamenti si nutriva dei rifiuti dell’uomo, furono gli ovini i primi ad essere addomesticati, pecore e capre, che con la carne e il latte andarono ad integrare l’alimentazione basata sui prodotti agricoli.
Probabilmente insieme a nuclei di agricoltori impegnati nell’addomesticamento e quindi all’allevamento, furono presenti in altri scenari gruppi diversi di genti, con una diversa economia. Popolazioni di pastori arrivarono infatti in Europa provenendo dagli altopiani dell’Anatolia, circa 4.500 anni fa. I bacini fluviali costituirono il terreno lungo la quale le ondate colonizzatrici, partendo dai litorali, si diffusero, risalendo le vallate lungo i corsi d’acqua. L’esistenza delle comunità neolitiche è segnata dalle tracce di dimore stabili, differenti rispetto agli accampamenti dei cacciatori, pescatori e raccoglitori delle precedenti epoche.
Mentre per l’agricoltore era necessaria una vita piuttosto sedentaria per beneficiare dei prodotti derivati dalle colture, il pastore che traeva sussistenza dagli animali, doveva fornire loro sempre nuovi pascoli e quindi condurre una vita in continuo movimento. I due diversi modi di vita portarono alla nascita di due diversi mondi culturali: quello degli agricoltori e quello dei pastori; anche se la linea di demarcazione non fu mai così netta, anzi, in base a situazioni particolari legate al clima, all’ambiente e alle vicende storiche, l’economia spesso risultò di tipo misto, con il prevalere di volta in volta dell’agricoltura o della pastorizia. Ma se -”L’addomesticamento-sfruttamento fu -solo- una delle componenti della economia propria degli agricoltori, (...) rappresentò -di contro- l’elemento quasi esclusivo della economia dei pastori, comportando una particolare attrezzatura, una struttura sociale di tipo patriarcale ed influendo conseguentemente sulla sfera delle manifestazioni spirituali e culturali.”- (Radmilli, op. cit.)
Siti neolitici ai confini del comprensorio del Gran Sasso:
San Benedetto in Perillis, Tussio, Caporciano, Capo d’Acqua (Bussi), Penne.
Fiumi abruzzesi che presentano un’alta percentuale di stazioni neolitiche:
Tronto, Vibrata, Tavo, Aterno, Alento, Orta, Foro.
L'Età dei metalli
Nel popolamento del territorio dell’Italia centro-meridionale e nella lenta evoluzione dell’uomo verso forme sociali di comunità organizzate, si innestano -”ondate successive di gruppi umani, per lo più definiti guerrieri-mercanti e cercatori di metali, d’estrazione pastorale egeo-anatolica”- (F.Giustizia). Ha inizio un lungo periodo che vede la diffusione a fianco delle armi e utensili in metallo, un rapido sviluppo di tecniche per padroneggiare la lavorazione della pasta silicea: la terracotta e la ceramica entrano nell’uso comune, mentre la sepoltura dei morti diventa sistematica e accompagnata da rituali e usanze, che si intensificheranno nei periodi storici successivi, permettendo agli studiosi oggi di ricostruire grazie ai copiosi ritrovamenti, uno spaccato di vita di queste popolazioni.
Nel corso del III millennio (età del rame o Eneolitico), si assiste ad un sostanziale incremento dell’allevamento, soprattutto ovino e caprino e alla pratica sistematica della transumanza, cioè allo spostamento periodico delle greggi, attraverso territori con condizioni climatiche diverse. In tutto il centro meridione diventa comune la tecnica dell’alpeggio o monticazione, transumanza verticale che prevede pascoli estivi in montagna e invernali a bassa quota. Il territorio abruzzese è particolarmente favorito sotto questo punto di vista, per l’esistenza di numerosi microambienti dove, a breve distanza, è possibile usufruire di condizioni adatte alla pastorizia in tutte le stagioni dell’anno.
In questo contesto, l’esigenza da parte delle popolazioni di ricercare situazioni ambientali e geografiche diversificate (terreni adatti all’agricoltura, alla pastorizia o alla caccia, oltre alla presenza di acque, boschi e valichi montani) portano all’acquisizione del concetto di territorio e quindi alla difesa degli insediamenti, sia abitativi che legati alle attività di sostentamento. Generalmente gran parte dei reperti dell’Età dei metalli (III - I millennio a.C. ) stanno a dimostrare una tendenza diffusa da parte delle popolazioni dedite alla pastorizia, ad occupare o a frequentare in modo ricorrente siti già predisposti alla difesa per la presenza di particolari caratteristiche morfologiche. Al contrario, su terreni meno impervi, in genere sui fianchi delle colline o lungo i corsi d’acqua, stanziavano le popolazioni aduse ad una economia di tipo agricolo o per le quali l’allevamento rappresentava soltanto un’attività sussidiaria. Questo binomio socio-economico si manterrà inalterato per millenni, fino a quando cioè le aree interne della regione si contrapporranno alle aree costiere, dove le caratteristiche più dolci del territorio e un clima più mite permetteranno il perdurare di situazioni segnate da minori contrasti.
Con il III millennio a.C. nell’Italia centrale vengono introdotte alcune importanti innovazioni nelle pratiche agricole: l’introduzione dell’aratro a trazione animale, l’addomesticamento del cavallo, la scoperta della ruota e l’invenzione del carro. -”In Abruzzo si assiste ad un forte investimento nei confronti dell’allevamento, con l’introduzione della pratica della transumanza verticale stagionale”- (D’Ercole, L’Italia nella protostoria, Pescara 1998).
Gli insediamenti riscontrati per l’Età del Bronzo sono generalmente ubicati in posizione non difesa, su terrazzi fluviali lungo le rive dei fiumi, mentre continua l’utilizzo delle cavità naturali, soprattutto come luoghi di culto e di seppellimento.
E' il prevalente indirizzo pastorale, su cui si basa l’economia dei territori montuosi della regione, a dare fin dai tempi più remoti un assetto ben preciso alla disposizione degli insediamenti umani e quindi alla geografia politica. -”... i grandi concentramenti armentizi- scrive Mattiocco- necessitano di quel vitale retroterra pastorale che solo la media montagna può offrire con i pascoli invernali e il facile accesso tanto alle pianure quanto alle zone prative d’alta quota.”-
Sarà proprio il passaggio da forme di nomadismo senza regole precise, ad un regime di transumanza verticale (monticazione) legata ai cicli stagionali e ai microclimi, a dare impulso a quella mobilità a più ampio raggio che in seguito si svilupperà in forme e modi sempre più vicini alla transumanza di epoca storica. -”In questo ambiente la coesistenza tra agricoltori e pastori non doveva essere sempre pacifica e i contrasti, affiorati fin dalla prima età dei metalli con la comparsa di genti nomadi a forte componente pastoralistica, erano destinati ad acuirsi...”- (Mattiocco, Centri fortificati nel contesto delle culture pastorali).
Nell’area del Gran Sasso, a parte la Grotta a Male di Assergi, non si hanno grandi ritrovamenti riguardanti l’eneolitico; ma per le epoche successive a partire dall’età del bronzo, con lo sviluppo della cosiddetta cultura sub appenninica, che lascerà notevoli testimonianze anche monumentali sottoforma di grandi fortificazioni ed estese necropoli, i ritrovamenti di antichi insediamenti si moltiplicheranno. Oltre ai luoghi già citati (ovunque nella storia dell’uomo si hanno testimonianze di insediamenti che ricalcano luoghi già oggetto di precedenti occupazioni), gli uomini dell’età del Bronzo lasciano tracce del loro passaggio nell’alta val Maone, immediatamente sotto lo strategico Passo della Portella. Ma i grandi ritrovamenti si hanno fuori di questo comprensorio, e precisamente presso le paludi di Celano, a Campovalano nel teramano, a Fossa e a Bazzano nella piana dell’Aquila.
Il passaggio tra l’età del bronzo e l’età del ferro è contraddistinta dall’abbandono degli insediamenti di valle, a favore dei siti d’altura. Con la metà del II millennio sorgono degli abitati, sovente in posizione naturalmente difesa, che avranno spesso una lunga durata nel tempo. -”L’intera dorsale appenninica si popolò in tal modo di una fitta rete di insediamenti a volte ben protetti da poderose cinte murarie, che gli storici romani chiamarono oppida o castella, (...) oggi meglio conosciuti col termine di centri fortificati”- (Mattiocco, op. cit.).
Tale ubicazione, suggerita dalle caratteristiche morfologiche del territorio, è in perfetta linea con l’indirizzo agricolo-pastorale delle culture dell’età del bronzo, che successivamente accentuarono il carattere stanziale degli insediamenti, almeno per quelli a prevalente componente agricola. Questa nuova organizzazione territoriale rappresenta uno dei fattori dominanti tra quelli che mutarono sostanzialmente il quadro storico all’inizio dell’età del ferro (IX-VIII sec. a.C.). -”E` il momento in cui forse comincia a concretizzarsi quella coerente regolamentazione intertribale che per secoli fu alla base del fenomeno della transumanza, (...) presupposto vitale per la sopravvivenza di popoli diversi, le cui norme giuridiche primordiali, tramandate oralmente di generazione in generazione, poggiavano sicuramente su di un consolidato sottofondo di sacralità che ne garantiva l’incondizionata accettazione e rispetto”- (E.Mattiocco, Centri fortificati preromani nella conca di Sulmona, Chieti 1981).
All’affermazione di questa tendenza senza dubbio contribuirono le favorevoli condizioni climatiche e il diffuso benessere derivante da una contenuta percentuale demografica e da una grande disponibilità di risorse naturali. Situazione questa idonea a favorire l’incremento delle culture pastorali che, se da un lato si avvantaggiano per un regime di buon vicinato e libera circolazione di uomini e merci, dall’altro con una economia fiorente favorivano le innate attitudini predatorie dell’uomo. Da qui l’esigenza di arroccarsi, con gli armenti e le greggi al seguito, in luoghi facilmente difendibili, che via via daranno origine a stanziamenti sempre più durevoli nel tempo, fino a quando le centurie di Roma, alla conquista della penisola, ritennero fossero postazioni militari troppo difficili da controllare e ne decretarono la fine espugnandole e smantellandole una ad una, annettendo così le popolazioni autoctone ormai organizzate in tribù ben definite del ceppo sabellico. -”Sorti originariamente per ospitare aggregati stabili o in funzione di comunità sparse nelle immediate adiacenze, per la loro distribuzione nell’ambito di distretti geografici ben definiti e coordinati, nell’insieme costituirono il sistema difensivo delle aree occupate dai singoli nuclei tribali. (La Regina, Centri fortificati preromani nei territori sabellici, Sarajevo, 1975).
Alla fine dell’età del ferro si vanno definendo quelle entità territoriali costituite da popoli quali gli Etruschi, i Latini, gli Umbri, I Piceni, i Sabini e i Sanniti. In Abruzzo vengono abbandonati gli insediamenti d’altura a vantaggio di siti di pianura, posti all’incrocio dei fiumi. (vedesi gli studi sulle origini della Sulmona protostorica (Van Wonterghem, I Peligni e il loro territorio prima della conquista romana). -”E' in questa fase che l’Abruzzo, abbandonato il sistema monarchico, si configura con stati confederali a base etnica, che costituiranno i vari popoli italici, riuniti sotto il più generale ethnos safin (Peligni, Marrucini, Vestini, Marsi, Pretuzii, Frentani, Carricini, Pentri, Equi).”- (V.D’Ercole, L’italia prima di Roma, Pescara 1998).
Tra i centri fortificati dell’epoca citiamo alcuni di quelli riportati da Fulvio Giustizia nella sua opera citata, localizzati per lo più nel territorio ad ovest del massiccio del Gran Sasso: Monte S.Pio, Colle Prutto di Stiffe, S.Rosa di Collepietro, Monte Castellone di Civitaretenga, Serra di Navelli, Monte Mattone presso Castelvecchio Calvisio, Piano S.Marco di Castel del Monte, M.Boria di Bominaco ed altri.
Nella seconda metà del IV sec. a.C., dopo le guerre sannitiche, inizia l’espansione romana che porterà alla conquista anche dell’Abruzzo. Questa, con la relativa opera di urbanizzazione e di programmazione territoriale, selezionerà gli insediamenti italici, elevando a rango di città sia abitati su pianori o di fondo valle, sia quelli d’altura. Il territorio montano con le sue propaggini collinari, caratterizzato dalla presenza di boschi, pascoli e campi irrigui, adatti alla coltivazione agricola, condizionò fortemente le attività umane. -”L’economia si basò principalmente sulla pratica della pastorizia transumante (...) associata allo sfruttamento delle risorse boschive (...) e all’agricoltura. Il trasferimento delle greggi transumanti lungo i tratturi e tratturelli, facilitato dalla pacificazione dei territori da attraversare, portò ad incrementare l’allevamento con conseguente bisogno di disponibilità di terreni da destinare a pascolo, a scapito delle aree boschive ed agricole.”- (S.Lapenna, Il Sannio carricino).
Alla fine della sanguinosa Guerra Sociale i popoli italici ottennero il riconoscimento della cittadinanza romana. Questo decretò il definitivo abbandono dei centri fortificati e la nascita dei municipi, lì dove esistevano già nuclei abitativi o santuari, dotati di una buona rete viaria. L’agricoltura ebbe un notevole incremento, pur rimanendo la pastorizia l’occupazione principale.
Giancarlo Guzzardi - © diritti riservati