Archeo


Pitture rupestri in Valle dell'Orta - Grotta dei  Callarelli

La Grotta dei Callarelli è una delle tante grotte che si aprono a strapiombo sulle pareti rocciose della Valle dell’Orta. La zona era stata visitata e descritta in un veloce excursus pubblicato nel Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici - vol.XVI, da Ezio Burri già nel 1977. La cavità, di accesso disagevole a causa della fitta e selvaggia vegetazione che ne occulta l’entrata ricoprendo la zona circostante, si apre con un ampio arco su una stretta cengia a 225 metri slm.

Come altre valli fluviali in Abruzzo la Valle dell’Orta è stata abitata dall’uomo fin da tempi antichissimi e pressoché frequentata costantemente fino ai giorni nostri. L’ambiente, il clima, la presenza dell’acqua e conseguentemente di una ricca fauna, hanno reso possibile questa permanenza. La Grotta dei Piccioni, più a monte, rivelatasi una delle scoperte più importanti sulla preistoria in Abruzzo, ne è testimonianza: negli strati scavati sono stati rinvenuti reperti riconducibili ad epoche che vanno dal neolitico all’età dei metalli, fino al medio evo.
La frequentazione di questi ripari è continuata in modo discontinuo anche in epoche storiche, soprattutto alla metà del 1800, quando la zona era oggetto dei cruenti avvenimenti legati al brigantaggio (si rimanda con un link alla sezione sull’argomento) e durante la seconda guerra mondiale, quando le grotte si trasformarono in rifugio per accogliere gli sfollati dei bombardamenti a valle o i prigionieri di guerra e i partigiani in fuga dalla repressione nazista. Ma proprio la constatazione di questa frequentazione recente e le conseguenti tracce da questa lasciata, gettano un’ombra di dubbio sull’autenticità delle pitture sulle pareti della grotta o, quanto meno, sulla loro effettiva datazione, senza una puntuale ricerca ed analisi.

Le pitture rupestri, che segnano ambo i lati della grotta, al primo impatto risultano difficilmente riconducibili a similitudini con quelle più caratteristiche e certe rinvenute nella stessa zona o in altre stazioni diffuse in Abruzzo.
Realizzate con pigmento di colore nero ed in un solo caso rosso, sono ricoperte da una considerevole patina di concrezione calcarea; la grotta, a differenza di quella del Mortaio, pressoché asciutta, è soggetta a penetrazione e a stillicidio di acque.
La loro tipologia è del tipo astratto, spesso costituita da segni geometrici, apparentemente poco simbolici. In alcuni casi si tratta di figure isolate, altri di numerosi segni a formare degli “insiemi”, con tratti sempre molto sottili. La figura più rilevante è costituita dall’effige in positivo di una mano destra lunga, nel suo senso longitudinale, circa 18 centimetri. Considerando tutte le pitture rinvenute in centro Italia, se questa dovesse risultare autenticamente di epoca preistorica, rappresenterebbe di certo un caso unico nel suo genere.

Proprio quest’ultima considerazione tenderebbe ad avvalorare l’ipotesi di essere alla presenza di un reperto molto più recente, se non di epoca moderna. La forma della mano, da sempre simbolo di potere ma anche di giuramento, potrebbe semplicemente risalire al periodo in cui la grotta veniva utilizzata dalle bande di briganti che agivano in zona dopo l’unità d’Italia. In molti casi la loro permanenza in questi ripari durava nel tempo e si estrinsecava in un insieme di attività quotidiane in cui erano coinvolte diecine di persone con al seguito animali e masserizie. Non è una novità che nell’etica di queste bande il giuramento alla fedeltà e al riconoscimento indiscusso di un leader fosse pratica comune, come da sempre in tutte le sette religiose o pagane, ed il suggello di un patto potesse avvenire semplicemente con l’apposizione della propria mano su una impronta precedentemente realizzata. Il materiale utilizzato potrebbe essere bitume, la cui presenza in zona non è sconosciuta.

Ci sono altre grotte adiacenti a quella dei Callarelli e una di queste è conosciuta dagli abitanti della zona come Grotta dei Briganti. Il nome stesso d'altronde: callarelli (da caldarelli o caldarelle, piccoli caldai), dalle caratteristiche buche scavate nella roccia con una perfetta simmetria e levigatura, presenti in numero di 5 sulle lastre orizzontali della grotta, verosimilmente può essere legato allo stesso tipo di frequentazione. Pare servissero per la preparazione della mistura della polvere da sparo per le armi da fuoco utilizzate fino a tutto il 1800. O, più semplicemente, potevano servire come contenitori del fuoco per cucinare. Con il termine mortaio è conosciuta un’altra grotta nei pressi di Bolognano, dove pure sono presenti altre pitture parietali e l’immancabile identica marmitta scavata nella roccia.

La ricognizione è stata condotta insieme al Dott. Tommaso Mattioli dell'Università agli Studi di Perugia, Dipartimento Uomo e Territorio, che ne ha portato a termine i rilievi preliminari.

Giancarlo Guzzardi  2007 - © diritti riservati

Per approfondimenti:

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